GIUSEPPE PASTACALDI. Avventura di un italiano tra ‘800 e ‘900. Un duello a Livorno, la fuga ad Harar. L’incontro con Khadija di una tribù galla. Una storia/romanzo che parla anche di una commessa di cammellii andata male.

di Paola Pastacaldi

L’Etiopia è sempre stata al centro dell’interesse degli europei. L’ esploratore Richard Burton, su richiesta del governo inglese, organizzò nel 1854 una spedizione verso l’Etiopia dell’Est, alla scoperta dei suoi tesori. Fu il primo europeo ad entrare nell’antica città sacra di Harar e rimanervi dieci giorni, travestito da commerciante arabo, rischiando la vita. Di questa esperienza Burton lascia un libro, “First Footsteps in East in Africa”. Allora l’Etiopia era chiamata Abissinia, perchè discendente da re Salomone e dalla regina di Saba. La colonizzazione italiana, in quella che sarà poi l’Africa Orientale Italiana, iniziò nel 1882, quando il porto di Assab sul Mar Rosso meridionale fu venduto da un sultano ad una compagnia di navigazione genovese, i Rubattino. Assab diventa la base della prima colonia italiana in Eritrea. Ma il tentativo di espansione verso l'interno porta ad un conflitto con l'impero etiope, allora governato dall’imperatore Menelik. Nel 1889 il Regno d’Italia firma il controverso trattato di Uccialli con l’Etiopia, che doveva regolare i rapporti tra i due Stati e riconoscere le recenti acquisizioni territoriali italiane in Eritrea, riconociuta come colonia, e in base al quale la politica estera sarebbe stata delegata all’Italia. Nel 1896 ad Adua gli etiopici sconfiggono duramente gli italiani, evirando molti soldati e facendoli schiavi. In questo periodo solo uomini molto coraggiosi affrontavano il viaggio verso l’interno dell’Abissinia per esplorare territtori mai visti, tra questi Vittorio Bottego, Luigi Robecchi Bricchetti, Carlo Piaggia, Giuseppe Maria Giulietti, Orazio Antinori, Antonio Cecchi, Miani e tanti altri che pagano con la vita le loro esplorazioni, venendo trucidati o morendo in sofferenza e solitudine. Le informazioni su questa area dell’Africa erano da parte dei vari governi europei molto ambite, in particolare dagli inglesi e dai francesi, ovviamente gli italiani rappresentavano una sorta di fanalino di coda aggregato agli inglesi. Uno dei luoghi più interessanti per tenere d’occhio i movimenti di Menelik e dei suoi uomini, era Harar, città sacra, murata, musulmana da secoli, abitata da jene e animali feroci. Fu meta di esploratori, commercianti e diplomatici e per questo definita la Roma dell’Africa. Lo scrittore Edoardo Scarfoglio (marito di Matilde Serao) scrisse nel dicembre 1891 un inserto di quattro pagine per il Corriere della Sera, intitolato “Viaggio ad Harar”, che fu allegato al quotidiano e donato agli abbonati. Il poeta francese Rembaud vi aveva fatto la dimora dei suoi ultimi anni, leggendo il Corano e convivendo con una indigena. Di questa esperienza ha lasciato un interessantissimo diario. La strada per arrivare ad Harar era sulla rotta degli schiavi, perciò molto pericolosa. Il conte Porro nel 1890 fu incaricato e sovvenzionato dalla Società di Esplorazione commerciale di Milano di recarsi ad Harar con una carovana allo scopo di aprire una via all’invasione italiana. Ma fu trucidato con tutti i suoi uomini e gli indigeni stessi della carovana in una imboscata organizzata dal Pascià d’Egitto che allora governava Harar. A fine Ottocento mio nonno, Giuseppe Pastacaldi (Livorno 1871 – Harar 1921) approdò ad Harar da Aden, certamente utilizzando un sambuco, barca antica a vela latina. Era fuggito da Livorno a causa di un duello. In quell’epoca i giovani italiani usavano battersi in duello anche per futili motivi, imitando la moda invalsa tra i giovani universitari tedeschi e consideravano l’avere ferite da duello un segno di onore e coraggio. Anche Giuseppe Pastacaldi, giovane studente a Pisa, volendo probabilmente dimostrare la sua valenza fisica forse per una donna sfidò a duello un compagno di studi. Ebbe la meglio e uccise il compagno. Costretto a fuggire per evitare la galera, si imbarcò nel porto di Livorno e raggiunse Aden, dove viveva la sorella, sposata con il viceconsole. Poco dopo lasciò lo Yemen per raggiungere la costa africana e poi la città di Harar, ai confini con la Somalia, dove rimase sino alla morte nel 1921. Durante la sua vita collaborò con il governo italiano per tenere contatti con ras Makonnen e Menelik e per fornire informazioni sui movimenti dei governatori locali, i ras. Giuseppe Pastacaldi fu corrispondente all’Harar dell’agenzia della Società Coloniale Italiana di Aden e fondatore, nel 1898, dell’agenzia di Mombasa, in quanto direttore del servizio trasporti della casa Bienenfeld per conto del Governo inglese, nell’area compresa fra Mombasa e il lago Victoria. Sempre per la Società Coloniale occupò anche la sede in Uganda e poi a Cassala. E per la Bienenfeld fu agente anche in Addis Abeba. Certamente il suo ruolo nel futuro Corno d’Africa è stato rilevante diplomaticamente a causa della sua profonda conoscenza dei territorio e dei contatti che aveva con le autorità locali. Morì nel 1921 e fu sepolto nel cimitero cattolico di Harar. Convisse (ma non sposò come si usava allora) con una donna indigena galla di fede musulmana, ma converita al cristianesimo, di nome Khadija da cui ebbe sette figli che furono educati nella missione cattolica galla che aveva come capo il vicario apostolico André Jarousseau. Tutti i sette figli parlavano correntemente oltre all’arabo e al galla, il somali e l’amhara, il francese e l’italiano. Alla morte del padre si trasferirono con la madre ad Asmara dove c’era l’unica scuola per meticci dell’Etiopia. Io sono la nipote dell’ultimo figlio di Giuseppe, Leone Pastacaldi. Nel 2005 ho pubblicato un romanzo storico che racconta le vicende legate a questa nonna e a mio nonno Giuseppe. Con questo romanzo, che porta il nome di mia nonna, “Khadija (peQuod, 2005), ho vinto il premio Vigevano. La carriera diplomatica di Giuseppe Pastacaldi come agente consolare ad Harar fu a lungo discussa dal governatore Ferdinando Martini (che più tardi divenne ministro delle colonie) e dal generale Ciccodicola. Ma, come si legge nei documenti depositati alla Farnesina, fu alla fine licenziato a causa di una commessa di cammelli andata male. Gli angloegiziani gli avevano chiesto di acquistare una grossa partita di cammelli. Giuseppe Pastacaldi ordinò alcune forti partite di cammelli e una volta che i cammelli furono fatti arrivare sulla costa araba e pronti per essere spediti a Cassala, gli angloegiziani provvidero diversamente, provocando alla Società coloniale italiana una perdita di settantamila lire. Nonostante la sua “moralità indiscussa e da tutti riconosciuta”, Giuseppe Pastacaldi fu ritenuto responsabile di questo incidente commerciale e alla fine non gli fu rinnovato l’incarico consolare in Harar. Su Giuseppe Pastacaldi si può leggere un dossier depositato all’archivio diplomatico della Farnesina ed è, inoltre, citato varie volte in numerosi testi dell’epoca e anche nel diario privato del generale Alberto Pollera, uno degli uomini più importanti del governo fascista in Africa Orientale Italiana. (Vedi: E. A. d’Albertis Una Gita all’Harar Fratelli Treves Editori, Milano, 1906; Martini F. Nell’ Affrica Italiana, impressioni e ricordi 1895, Fratelli Treves Milano 1925; Bollettino Società Africana d’Italia Dall’Harar Missione per la delimitazione del confine tra Somalia Italiane e l’Etiopia 1910)

 

 

Citazioni su Giuseppe Pastacaldi  (1860-1921) :

 

  1. A. d’Albertis  Una Gita all’Harrar Fratelli Treves Editori, Milano, 1906. Così si legge:

“Giuseppe Pastacaldi livornese, corrispondente alla’Harrar dell’agenzia della Società Coloniale Italiana di Aden e anzi fondatore, nel 1898, dell’agenzia stessa di mombasa, allorchè si trovava colà come Direttore del servizio trasporti della casa Bienenfeld, per conto del Governo inglese, fra Mombasa e il lago Victoria, quindi vecchio conoscitore dell’Africa orientale e solo da parecchi mesi ritiratosi all’Harrar”. Citazione a pagina 92.

“…essendo il Pastacaldi un superstite dei canottieri della valente Società Alfredo Capellini” di Livorno Il nonno Giuseppe Pastacaldi  (1860-1921) è stato citato in:

 

Bollettino Società Africana d’Italia Dall’Harrar La Missione per la delimitazione del confine tra Somalia Italiane e l’Etiopia  1910, pagina 228-229

 

Martini F.  Nell’ Affrica Italiana, impressioni e ricordi 1895, Fratelli Treves Milano 1925. Così si legge: “Ritrovo qui il Pastacaldi agente della Società coloniale in Cassala il quale va in Italia in licenza. Mi racconta anche lui nuove angherie degli inglesi per intralciare impedire i commerci della Colonia. Nonostante tutte querste angherie il Pastacaldi non crede che Suakin possa far concorrenza a Massaua …”. Citazione a pagina 141.

“Da risposta Pastacaldi risulta condizioni Makonnen disperate..Malattia ras Makonnen e suo stato quasi disperato rende in questo momento inefficace qualsiasi ordine di Menelik per evitare conflitti Ogaden Bagheri” Aden, citazione pagina 239

“Biglietto confindenziale di Pastacaldi in data diciotto corrente mattinan da Harrar dice: credo Ras morto”.

“Signor fagiuoli, livornese, destinato per quanto si dice a succcedere a Lang nella direzione della casa di Aden. Finalmente una sorella della padrona di casa, una signorina Pastacaldi, stupenda per freschezza e beltà”. Citazione di una sorella di Pastacaldi pagina 314.

“Nuova conversazione col pastacaldi. Una frasla di caffè 16 chili e 800 grammmi si paga da 7 a 8 talleri”, Citazione a pagina 542

“Il Pastacaldi mi legge alcune sue relazioni alla Società Coloniale relative ai commerci dell’Etiopia…Menelik stesso fece aspettare il Pastacaldi più di un anno, menandolo in giro di giorno in giorno…A pranzo ho il Pastacaldi e Ottorino Rosa”.

Citazione pagine 545 e 551.

Nel 1917 è ancora ad Harar, commerciante, dove è segnalato da Alberto Pollera nel suo viaggio verso Addis Abeba.

 



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