Il Faggio che parla

di Silvestro Acampora, arboricoltore

Era una mattina d’autunno ed ero andato a fare una passeggiata tra i boschi del Monte Moria per disintossicarmi  da Milano, con la speranza di trovare qualche fungo. Mi piaceva quella montagna che avevo conosciuto durante l’estate grazie a Milena, la compagna di Antonio; in particolare, mi attiravano i grandi tronchi contorti degli alberi di Castagno disseccati.

I fianchi del Monte Moria erano stati in passato Castagneti e Noccioleti molto ben curati poi, lo spopolamento della montagna seguito all’industrializzazione postbellica comportò l’abbandono di attività indubbiamente faticose e poco remunerative.

Un Castagneto ha bisogno di essere curato tutto l’anno e nei periodi di raccolta e pulizia ci si lavora dall’alba al tramonto e non solo per otto ore come richiesto nelle fabbriche che fagocitavano mano d’opera, garantivano un salario sicuro e lasciavano libere le domeniche e anche gli altri giorni festivi. 

Lentamente e inesorabilmente il bosco si è riappropriato dei campi coltivati e gli alberi di Castagno e Nocciolo, non più curati dagli uomini, hanno cominciato a lasciare spazio ai più selvaggi Faggi.

Non pioveva da tempo e la lettiera del bosco era secca e priva di funghi, a parte le mensole dei Ganoderma che spuntavano dai tronchi degli alberi morti, neppure l’ombra. Dopo aver percorso un crinale che divideva una pineta di Pino Silvestre dal vecchio castagneto mi inoltrai in una particella dove predominavano dei Faggi anche di grandi dimensioni. Se nel bosco era spuntato qualche fungo, lo avrei certamente trovato sotto le chiome dei Faggi.

Dopo aver girovagato per un oretta senza aver trovato nulla, mi sedetti sul tronco di un albero caduto a riposare. Quando ti trovi da solo in un bosco e smetti di camminare, puoi ascoltare i diversi rumori del bosco. Da quello prodotto dalle foglie o dei ricci che si staccano dai rami a quello del vento che, a seconda delle chiome degli alberi che attraversa, è sempre diverso! I tronchi, i rami e le foglie si somigliano, ma non sono uguali e il suono che fa il vento attraversandoli e investendoli è sempre diverso! Poi ci sono i rumori degli uccelli e degli altri animali. Alle volte è il tamburellare dei Picchi a caccia di larve ad attirare l’attenzione altre, il ronzio assordante di un insetto e più raramente quello dei Cinghiali e dei Daini. A secondo della direzione del vento, arrivano nel bosco anche le voci delle persone ferme a parlare sul piazzale del rifugio e il fastidioso rumore dei motori delle macchine in arrivo e in partenza. Ovattato e lontano arriva anche il suono delle campane che in alcuni paesi ancora annunciano il Mezzogiorno.

Assieme a tutti questi rumori a me noti, ad un tratto, ne percepii uno che non riuscivo né a identificare né a capire da dove provenisse. Si trattava di una specie di bisbiglio alle volte prolungato altre intermittente sembrava che qualcuno sussurrasse parole che non riuscivo a capire. Sembrava una conversazione che stava avvenendo lontano, ma non riuscivo a capire nessuna parola.

Mi alzai e cercai di capire da dove veniva quel sussurro. Mi spostai di una decina di metri verso valle e ebbi allora la sensazione che provenisse dalle mie spalle. Come era possibile? Il vento saliva dalla vallata e non poteva trasportare discorsi che avvenivano a monte.

Ritornai a sedermi sul tronco e rimasi ad ascoltare in assoluto silenzio, fino a convincermi che quel sussurro proveniva da valle. Avevo timore si trattasse di un’allucinazione uditiva: sempre più teso cominciai di nuovo a spostarmi un passo per volta verso valle. Ebbi la sensazione che il sussurrio diventasse più forte e che provenisse da un grande Faggio, cresciuto sul bordo di un canalone. Osservando l’albero, non sembrava avere nulla di diverso dalle altre piante ma, non appena mi avvicinai al tronco, potei notare con sorpresa  l’enorme cavità che si trovava alla base del tronco e a poco più di un metro di altezza. Una grande bocca di pesce ben disegnata dal legno consumato spalancata sul canalone. La bocca/foro da cosa è stata provocata?

Il sussurro non era altro che il suono del vento che entrava nella cavità alla base dell’albero e usciva dalla “bocca” del tronco. Ero finalmente tranquillo.

Da allora, tutte le volte che vado sul monte Moria, passo a salutare il vecchio Faggio capace di parlare grazie ad una sua ferita e mi piace farlo vedere agli amici che mi accompagnano.

 

 

 



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