Khadija

Pequod Edizioni

Gabriella Bona

Livorno, fine Ottocento, una fuga precipitosa dopo il duello in cui Giuseppe Pastacaldi hl'amico più caro. Quella macchia di sangue sul bianco della camicia, gli amici lontani, l'adonna che ha dovuto lasciare, la città in cui ha vissuto: dolore, rimpianto ed emozioni pi compagni di viaggio sulla nave che lo conduce in Africa, in un continenteche tenta di ddall'invasione coloniale dei paesi europei, dalla fame, dalle guerre interne e Aden, la cittsorella che lo aspetta in 'una terra che vibra di una musica che non hai mai sentito'. Aguna spedizione geografica, per raggiungere la costa arabica e il continente africano, le gdi sabbia e il rigoglio della natura, finoa lla città sacra di Harar e all'incontro con Khadijaetiopica orono dell'autrice. È un'Africa bellissima e atroce: 'questo paese è ai confini devive una sua bellezza evangelica, sommersa a momenti da una disperazione apocalitticgli europei non capiscono granché. Qui assistono allo svolgersi di una storia antica, etestoria in cui le carestie creano situazioni che un europeo vive con angoscia e incredulitogni mattina ammucchiano cadaveri sotto le mura. A quei corpi sono già state rubate leavvoltoi strapperanno loro l'ultimo filo della vita[ ...] Compito che la città considerava comisto a gratitudine che di tutti i cadaveri che la carestia portava con sè non avrebbe sapfarne', ma anche piene di profumi, di suoni, di spazi aperti, di città fantastiche, di donneil protagonista si ritrova in una posizione in cui non si riconosce:' mi chiedevo cosa saper me più bruciante, la vergogna di aver abbandonato la terra mia per non finire in prigdiventare un conquistatore?' l'autrice ricostruisce con affetto ed eleganza una storia lotempo e nello spazio, anni difficili, un amore non convenzionale per quei tempi: ' ho iniviaggio dentro l'Africa sulla spinta di un esotismo familiare. Un nonno che si perdeva nefine secolo, la cui storia si intreccia con l'inizio delle colonie e i primi viaggi di esplorazpaese antico. L'Etiopia, regno di Aksum e della regina di Saba, e una nonna di una tribùnome Khadija Ahmed Youssouf' nella città di Harar ' coagulo di etnie che l'Unesco ha dpatrimonio dell'umanità. E ci racconta l'amore di Giuseppe che ' é un incontro con l'Afrquella parte di sé che sempre racchiude il sentire fisico dell'essere primitivo. Quel sentisembra deprivato l'uomo del nuovo secolo'.

Nell'Africa e nel cuore

Giuseppe Marchetti, La Gazzetta di Parma

Khadija, esordio narrativo di Paola Pastacaldi

Come ben sappiamo, il romanzo nasce in gran parte dalla conversazione e dall'avventuquesti due filoni di tesori, di ricordi e di memorie, il romanzo ha colto infiniti spunti. La cimportante, però, è che questi spunti non restino fini a se stessi, non restino diario o crPerché questo non avvenga, occorre che lo scrittore immagini la propria vicenda e la rase l'inventasse, o almeno ne inventasse le parti più suggestive e significative. A questo rigoroso e fondamentale per la vita del romanzo, s'è accinta Paola Pastacaldi realizzandserie fortunata di altri volumi, il suo primo romanzo, Khadija, pubblicato da peQuod editAncona. Paola Pastacaldi è trevigiana, ma la nonna paterna è di Harar e questa origine èragioni lontane ma tenaci del romanzo. Vive a Milano e insegna Analisi critica della StamCattolica. Qualche anno fa, assieme a Bruno Rossi, pubblicò un libro curioso, Hitler è b(Longanesi editore) con l'antologia dei pensieri dei bambini cresciuti a metà Novecentosuccessivamente C'era tutt'altra cosa (Guanda, '95) dove veniva analizzata la storia fantfavole per grandi e piccini, come si dice. Con Khadija, però, il ritmo cambia e l'evidenzanarrazione prende un'altra e ben diversa suggestione. Torniamo sulle rotte dell'avventuPastacaldi ha una ricca e invadente fantasia, tutti i particolari della storia che narra vivosontuosa vibrazione di sentimenti e di emozioni, il suo scrivere pastoso e svariante none le descrizioni - a partire dall'inizio del libro con le pietre sepolcrali, le nuvole, la valle, scura di Aden e le stuoie di corda - si succedono con un ritmo incalzante. Chi narra è Gfratello di Ottavia, che vive ad Aden dove è sposata con il console italiano. Giuseppe fuper non venire arrestato dopo un omicidio commesso involontariamente. Ma proprio quconsentirà di immergersi nella lontananza misteriosa e affascinante di un mondo che glcompletamente sconosciuto. È un mondo che fa scaturire ricordi e colori diversi: 'Al morizzonte di malva, serpeggiante ai bordi di un deserto color canapa, riempì i nostri cuolasciandoci emaciati in volto e un cuore pieno di angosce'. È un mondo che spinge la nanche a forzare i toni descrittivi e a caricare le immagini di pesanti e reiterate aggettivaztornavano alla mente i cieli stellati e il candore della luna e i suoni notturni delle acacie vento, il tambureggiare della sabbia sulle nostre vesti e il brusio degli insetti dentro le feuforbie'. Come in certi quadri tempestati di colori e figure emblematiche care agli esplOttocento, anche Khadija è un romanzo di atmosfera dove fosche visioni, speranze, illu

trasalimenti, viaggi, commerci e passioni s'alternano scambiandosi i ruoli 'con ardore, amore' in un affascinante peregrinare. Giuseppe segue questo suo destino verso Hararaltri viaggi interiori' e Khadija è la sua guida affettuosa ma implacabile. All'interno di qumeccanismo che scatta rigoroso ad ogni snodo dell'avventura, Paola Pastacaldi pone i uno ad uno semplici ma incontrovertibili di una paziente ricerca umana la quale a tratti sin romanzo e a tratti, invece, resta fissata ad una superficiale, seppur fastosa, immaginaDunque, tra paesaggi di vita e di morte e con una tensione che continuamente immergeGiuseppe 'ancorché erotico e sentimentale' in un incontro con l'Africa continente primspirito, la Pastacaldi sperimenta la gioia di una narrazione che torna verso le proprie orl'asse sicuro di un mito familiare, recuperato come un segreto patrimonio e un tesoro dstraordinarie.

Lucia Compagnino, Secolo XIX

Un amore fine secolo nell'Africa selvaggia

Uno spunto autobiografico per un romanzo dedicato all'Etiopia di fine Ottocento, esoticpericoloso oggetto del desiderio di esploratori, commercianti ed aspiranti coloni. É la stPastacaldi, giornalista e scrittrice, a spiegare la genesi del suo nuovo romanzo, Khadijapag.250, euro 16), che racconta l'incontro e l'amore fra suo nonno e la splendida quattodiventerà sua moglie: 'Ho iniziato questo viaggio dentro l'Africa sulla spinta di un esotiUn nonno che si perdeva nell'Africa di fine secolo, la cui storia si intrecciava con l'inizioe i primi viaggi di esplorazione in un paese antico, l'Etiopia, regno di Aksum e della regiuna nonna di una tribù oromo di nome Khadija Ahmed Youssouf'. La vicenda si apre suprotagonista Giuseppe in fuga da Livorno per evitare il carcere dopo aver ucciso in duemigliore amico in una scena che ricorda l'Eugenio Oneghin di Puskin. Lasciati gli agi dadella buona borghesia, è diretto ad Aden, dove abita sua sorella Ottavia che ha sposatoitaliano. Ma l'incontro sul vapore coi membri di una spedizione geografica diretta ad Hada mura e abitata da iene, (che ricalca la vera impresa del conte milanese Gian Pietro Potragicamente in un bagno di sangue) lo invoglierà a procedere verso l'interno del paeselo conquista con i suoi odori e colori, selvaggio e potente simbolo di quello che primadell'invenzione del politicamente corretto si sarebbe tranquillamente chiamato esotismo'negritudine'. Eccolo allora nel caravanserraglio del Cairo e in un hammam, fra richiame letture dal Corano e da Le Mille e una Notte, sul canale di Suez e lungo silenziosi deseHarar, la santa città dalle cinque porte, cuore del mondo islamico dove 'tutto è cinque: numero delle ore della preghiera, dei beni per la decima, degli elementi per il pellegrinagdi digiuno, delle abluzioni, cinque le vendette tribali'. Cinque come le dita di una mano delizie di cui l'uomo può godere: 'delizia per un attimo é il coito, delizia per un giorno ildelizia per una settimana l'applicazione della nurà, la pasta con cui ci si depila, delizia pmatrimonio con una vergine e delizia senza fine in questo mondo l'intrattenersi con gli aproprio ad Harar che Giuseppe conoscerà Khadija, che gli viene offerta in dono dalla nocui appartiene. Intimidito dapprima dalla sua bellezza in fiore e dal fatto di non parlare lafinge di ignorarla studiandola di sottecchi, finché non capitolerà ad un sentimento che nnegare, quell'amore che per l'autrice é anche 'un incontro con l'Africa, cioé con quella pche sempre racchiude il sentire fisico dell'essere primitivo. Quel sentire di cui ora sembl'uomo del nuovo secolo'.

(p.d.), Stilos

Sulle orme del padre in Africa

Aura ottocentesca e intimismo novecentesco per una storia di un triplice viaggio, geogrinteriore e narrativo, nella quale Paola Pastacaldi, autrice di Khadija, cede al richiamo dfamiliare, essendo la scrittrice nipote di Giuseppe Pastacaldi, che nell'Africa italiana di fsi occupò di fondare un'agenzia commerciale e di trasmettere informazioni al governo icittà sacra di Harar. Con la curiosità della giornalista la Pastacaldi si addentra in un monmisterioso e affascinante verso il quale si muovevano diplomatici, avventurieri e gente dietro al quale, sullo sfondo storicamente documentato, stanno suggestioni musicali, lepittoriche.

Alessandra Iadicicco, Il giornale

La mia Africa esotica e barbarica

La protagonista del romanzo è l'emblema sconosciuto della femminilità

L'esordiente Paola Pastacaldi racconta in Khadija la storia vera della nonna,nobildonna

Khadija è il nome di una donna, il nome di una nonna. È il nome del romanzo che la nipoitaliana, ha intitolato alla progenitrice africana vissuta nell'Etiopia di un secolo fa. Una svero è infatti che Paola Pastacaldi, di toscana famiglia e trevigiana natività, discende daAhmed Youssouf, nobildonna della tribù oromo di stirpe patrizia ed esotica estraneità. Vdocumentato dalle cronache dell'epoca, che il nonno paterno, Giuseppe Pastacaldi, parfine Ottocento. reo e fuggiasco per aver commesso il più grave dei delitti, l'omicidio in dmigliore degli amici. Clandestino a bordo di una nave di esploratori salpata da Livorno pnel Continente Nero dalla punta del Corno d'Africa. Adepto malgré soi in un viaggio d'inche di scoperta, per il quale nessun capitano di ventura poteva aprirgli la rotta. vero, infradice non remota (vecchia tre generazioni) ma profonda, scende nel suolo etiope ad alscrittrice veneta alla terra inverosimile di Harar, al fiabesco 'Promontorio degli Aromi': alimentare di linfa sostanziosa e reale la sua penna di favolista. Il libro, infatti (Khadija, pagg. 240, euro 16), è un debutto nel romanzo per l'autrice di racconti per ragazzi C'era (Guanda) e L'indirizzo delle fate (Longanesi). E romanzo è. Non il resoconto di un'esploanche se i consultati bollettini della Società Geografica e Commerciale comprovano ogne 'fittizia' descrizione. Né un diario dei ricordi di famiglia: anche se le linee delle mapperiprodotte nel volume potrebbero intrecciarsi con le ramificazioni e gli innesti di un albegenealogico familiare. Romanzo con postfazione: compilata, chissà, per dissipare una tdebuttante e relegata poi saggiamente in epilogo. Perché le informazioni e i complimentsembrava doveroso fornire al lettore, ogni lettore raccoglie tutte nella traversata della nquanto in citazione si dice nell'appendice, con le autorevoli parole dell'esploratore ingleFrancis Burton - 'Quegli uomini partirono un secolo fa con un solo scopo: mettere se smondo borghese di fronte alle magnificenze del resto del mondo' - è detto anche meglidi colei che, nei panni di quegli uomini, del padre di suo padre che partì un secolo fa, siraccontare:'Harar, la Roma d'Etiopia, prendeva i vizi del mondo occidentale e ne facevaarzigogolati, consegnandoli a una complessità di significati nei quali era necessario perritrovare se stessi'.

Tre righe per dire quanto accadde al protagonista di Khadija: al nonno Giuseppe che, diinnamorandosi, si ritrovò. È quel che accade anche a colei che a giuseppe ha prestato lvoce per fargli raccontare in prima persona la sua storia? A lei l'abbiamo chiesto, che cconsanguineo e omonimo Pastacaldi si è messa in viaggio per ritrovare, da 'Paola', undel tutto diverso, di femminilità. A quale dei due (aviti!) eroi più rassomiglia? 'A entrambnessuno dei due'(non) risponde la scrittrice: liberandosi immediatamente dalle trappoledelle somiglianze di famiglia. 'Il nonno non l'ho conosciuto mai: rapito dalla città sacra,tornato. È morto nel '21, ed è seppellito là, ad Harar'. E Khadija conserva ancora il suo epelle di un colore diverso, parla una lingua intraducibile, è devota a una fede indefinibilemussulmana o copta?', ancora si chiede la nipote: 'Figlia di una tribù di religione islamscena con una croce in mano'. Diversità, religiosità, scoperta: tre parole chiave per discdei motivi di fondo che risuonano in tutta la storia. Scoperta: di per sé forse, certo non sproprio passato. 'No, il discorso familiare era interessante: abbastanza da fornirmi unotema personale, per quanto fatalmente coincidesse con il mio destino, andava abbandoscoperta si è disvelata tutta esplorando la terra africana'. Sul campo? 'In biblioteca! sotardi sono partita: dopo dieci anni di ricerca. Concentrata su una piccola fetta di continespaccato ristretto di storia: non l'Africa, né l'Etiopia, ma la zona di Harar. Non l'intera viccoloniale italiana, ma uno stretto giro d'anni: corsi fra il 1880 e il 1920'. Non è poco, peranni la cinquecentesca città mussulmana serrava ancora (e già) tra le sue mura il prodigdi etnie che le ha meritato il riconoscimento, da parte dell'Unesco, di patrimonio dell'uml'incursione tra quelle genti di Giuseppe bastava a rivelare l'atmosfera di un'epoca e la suna civiltà: un senso del sacro quasi seducente che si respirava con gli Aromi del Promrisuonava al crepuscolo col richiamo del muezzin e si ascoltava nella recitazione dei veCorano, poetica ed evocativa come le pagine lette ad alta voce la sera della gente nel deAttratto dal miraggio di un Altrove - 'Harar, ancora lontana, viveva nei miei pensieri avvun'aureola di luce diafana e quieta' - Giuseppe vive, dolorosamente, lo spaesamento inignota: 'Deve morire a se stesso, e perdere tutto quello che ha e che sa per rinascere a E l'incontro arriva tardi. Khadija, nel romanzo, è lontana, come la città murata. Comparefinale, preceduta però da due sorelle 'impossibili': imparentate a lei (e l'autrice) solo dadonne. Florence, l'inglese pensosa e carnale, con quelle 'sopracciglia lunghe e folte chraccontavano i una forte profondità di pensiero', scrive Paola. E la sorella di Giuseppe,sposata al console, toscana trapiantata, 'smarrita in un mondo barbaro carico di bellezz

intellettuale,aristocrazia diplomatica: contrasto o complemento al patriziato tribale dell''Sono tre volti diversi di una stessa donna. Dovevo scorporarla in tre figure per fare lucidea del femminile', dice Paola. Luce iridata, diffratta e infine nera, come la pelle di Khabellisssima - negli occhi della nipote - : non schiava ma libera e nobile, forte, intelligentperla nera e selvatica, emblema sconosciuto di femminilità'.

Massimiliano Chiavarone, Corriere della Sera

Un viaggio dello spirito da Livorno all'Africa

Una macchia rossa su una camicia e una mano su una pistola. È ciò che vede Giuseppestudente di Livorno. La mano è la sua, il sangue è quello del suo migliore amico. da quepoi la sua vita subirà una svolta radicale. Il senso di colpa sarà trasfigurato in un viaggiPrima fuga poi percorso iniziatico e infine luce, quella che irradia l'amore e un'umanità matura. In Khadija, primo romanzo di Paola Pastacaldi, l'autrice gioca in casa. Attinge aintime e infantili, per raccontare la storia di suo nonno, Giuseppe appunto, e di sua nondella tribù oromo che annovera i tipi etiopici più puri. La vicenda ambientata tra Otto e Ninizialmente a Livorno, cresce innestandosi con l'epoca del sorgere delle colonie e dei pesplorazione in Paesi lontani e ritenuti remoti. Il risultato è un caleidoscopio di profumi,dolcezza e violenza, quasi a toccare con mano la fisicità dell'Africa. 'Quel mondo che sedi suoni, se non quelli del mare e degli uccelli e che sa arpeggiare una scala di note scoracconta Pastacaldi e che svela 'una terra che vibra di una musica' che Giuseppe non hascoltato, come gli scrive la sorella Ottavia, invitandolo a raggiungerla. Dalla traversataRosso alla costa arabica e poi all'Africa, lungo la via degli schiavi per giungere al promoaromi, l'antico regno di Adal e infine Harar, città sacra che 'vive una sua bellezza evangsommersa a momenti da una disperazione apocalittica'. Lungo la strada (e le pagine) inmeraviglie e orrori, insieme a personaggi tratteggiati con grande capacità come Florencesploratrice ed emblema di una libertà di pensieri e azioni (al femminile) molto in anticipSu tutti emerge Giuseppe e la sua crescita interiore la cui regia è affidata a Khadija, chesimbolico del romanzo assume il ruolo della madre terra, dea Africa, con cui l'uomo scosentire fisico e spirituale, adulto e vitale. Da segnalare anche i passi in cui l'autrice lamberotica come quando scrive di quella schiava 'dal corpo dal pallore magico', rivelando i segreti di una scrittura che tende verso il desiderio senza mai essere volgare.

Il Foglio

Khadija

'Aden giace sopra una penisola vulcanica brutta e arida, una roccia tuffata nel blu'. Adeobbligata e subita, del viaggio di Giuseppe, studente universitario che una notte a Livorscherzo malinteso, uccide Eugenio, migliore amico e compagno di studi. Quella notte ssalvarlo dal carcere, gli amici imbarcano l'omicida involontario su una nave diretta in Afalla salvezza, Giuseppe sa che sulla costa abissina lo aspetta la sorella Ottavia, giovaneconsole italiano. Imbarcato come passeggero abusivo, Giuseppe intraprende un viaggiosempre accade ai viaggi, non è solo passaggio per luoghi geografici. Siamo all'inizio di cui gli uomini dell'occidente partivano con in mente un unico scopo, 'mettere se stessi mondo borghese di fronte alle magnificenze del resto del mondo e, in qualche modo, ritstessi nella fisicità, nella fatica e nella coralità di essere uomini, anche a rischio dela vit

E' ciò che succede a Giuseppe, seppure in modo dapprima inconsapevole; il suo è un dscelto, che lo trascina suscitando in lui reazioni di segno opposto: se da un lato lo attrail giovane italiano oppone una resistenza fiera. Come quando, dopo aver incontrato la saverle confessato il desiderio irresistibile di proseguire nell'esplorazione di quel contineHarar e, insieme alla sua nuova abitazione, si vede 'regalare', perché ne disponga, unadonna, Khadija, 'tanto bella che il suo fulgore non aveva eguali'. Giuseppe è turbato, ncomprende il senso di quel dono che, come gli spiega il servitore Giammah, rappresentomaggio che non si può rifiutare'. Non potendo rifiutarla e non sapendo approfittarne, nun'involontaria e inconsapevole guida interiore, che lo accompagnerà nel viaggio dentrl'erotismo della terra che lo accoglie, di cui va scoprendo dolcezze e crudeltà, seduzion

Molti sono i personaggi che Giuseppe - e il lettore - incontrano in questo percorso, in culetteraria e la fantasia si intrecciano con la storia e le cronache. Peccato la sovrabbondaaggettivi e un certo barocchismo. Giuseppe rappresenta il tentativo (difficile) di compreKhadija, con la sua integrtà, è la femminilità africana, opposta e contraria a quella 'bianfemminilità che Giuseppe non intende colonizzare né umiliare, stravolgendola. Metaforadel difficile rapporto tra la cosiddetta civiltà e il 'Sud del mondo'.

Khadija, la storia d'amore per una donna e per una terra

Matteo Collura, Libreria di Tabloid

Nel leggere questo romanzo di Paola Pastacaldi, con un automatismo che non saprei mspiegare, mi è venuto alla mente uno dei libri più strani che mi siano capitati tra le manidesinenza in A di Carlo Dossi. E non perché tra Khadija della Pastacaldi e il romanzo descapigliato vi siano delle relazioni più o meno evidenti, ma per quel tanto di femminile cesprimono e che dimostra quanto differente sia il punto di vista tra narratori di diverso sstesso vale per il cinema; e si potrebbero fare parecchi esempi, anche se può bastarne perturbante Lezioni di piano, della neozelandese Jane Campion.

Ma forse il romanzo del Lombardo Dossi mi è venuto in mente anche per l’affinità tempostorie narrate, ovviamente) con quello della Pastacaldi: la fine dell’Ottocento in cui tuttogiungere al capolinea e nello stesso tempo tutto sembra incominciare.

Racconta una storia d’amore, Khadija, duplice: per una donna e per una terra (l’Africa, lHarar); una storia d’amore che, nel lettore, finisce col fondersi. La sensualità, sappiamoriguarda soltanto gli esseri umani, non promana soltanto da essi. E se l’erotismo, invecprerogativa umana, esso è dato anche dagli umori che un luogo esprime, dalla sua storluci e dalle sue ombre, dai suoi suoni e dai suoi silenzi, dai suoi odori. Ed è questo, in foche noi chiamiamo esotismo.

Con questo archetipo letterario Paola Pastacaldi impavidamente si è voluta confrontareche, chiuso il libro, ci rendiamo conto l’autrice ha vinto; e la sfida è quella di aver volutooggi, una storia che ha come protagonista uno dei massimi motivi di ispirazione degli aromantici e decadenti: l’esotismo, appunto.

Paola Pastacaldi è ritornata ad Harar per rintracciare le sue radici africane, che lei defindi un “esotismo familiare”, con “un nonno che si perdeva nell’africa di fine secolo, la cus’intrecciava con l’inizio delle colonie e i primi viaggi di esplorazione in un Paese anticoregno di Askum e della regina di Saba, e una nonna di una tribù oromo, di nome KhadijaYossouf”.

Da una simile esperienza poteva venir fuori un prevedibile racconto di viaggio, anche pPastacaldi è una giornalista, vale a dire una viaggiatrice avvezza a registrare dati che faviaggio un racconto più o meno legato alla storia di un luogo o alla sua attualità. Ma è bKhadija.

È un viaggio nell’aanima di una donna occidentale consapevole del suo sensuale accumlusinghe d’arte (dalla letteratura alla musica, dalla pittura al cinema), al quale se non si non lo si confronta con la vita stessa, resta appunto un accumulo di sterili lusinghe. Foromanzo è il risultato di una lotta contro l’inaridimento che ogni individuo subisce inoltcosiddetta maturità. E questo lo dico perché l’autrice mostra di aver tenuto viva la francspirito anche artificialmente o, meglio, con l’artificio della letteratura, la più artificiale deesspressioni artistiche, perché generata e nutrita da quelle che i mistici chiamano visio

Il viaggio verso l’Africa che la Pastacaldi propone al lettore è un’avventura dei sensi chedestinazione raggiunta, si fa un’orgia di sensazioni in cui baluginano seduzioni e pericoappunto perché esotici.

Violenza estreme ed estrema dolcezza, ci dice la Pastacaldi, fanno della vita la metaforadei paradisi possibili. Va verso questo pericoloso finis terrae, Giuseppe, il protagonista va e ci contagia le sue perturbanti visioni: “Scivolò il mio sguardo come assetato su qusplendente e piena, come nella notte del quattordici di ogni mese. Cadde la mia anima saveva sopracciglia arcuate e labbra come un sigillo di Salomone. Mi sorrise con denti sgemme. La sua venustà e la bellezza, la sua statura e l’armonia di forme rapirono il mio ebbi la mente annebbiata. E l’animo si accese di fuoco. Il giardino era pieno di gelsominviole, rose e aranci e ogni altro profumato fiore…”.

Oppure: “Solo gli occhi, quando alzavamo la testa, spargevano d’intorno uno splendoreincandescente come di tizzoni ardenti, erano quegli occhi nel loro vagare inquieto, senz

nulla, pietre preziose incastonate nella durezza del trapasso che non giungeva. Gli straccoprivano più, ma esalavano la morte imminente.

Giacevano le cotonate su ossa puntute che parean tronchi di alberi senza linfa, uccisi dche si era scordata di cadere per nutrirli. Sicché le braccia non erano più braccia ma trodal vento, perché troppo deboli per restare attaccati all’albero. Aspettavamo la morte peiene che sarebbero arrivate non appena il sole si fosse nascosto dietro le montagne…”

È un libro, questo, che sembra stato scritto in un momento d’ozio o in una somma di mquelli che, paradossalmente, spingono gli scrittori a osare; a usare le pagine come fossche permettono ai predestinati di ascendere all’altare dell’oracolo.

O semplicemente, Khadija è frutto di un esercizio mentale che all’autrice è servito per tesua capacità di emozione.

Stabilirlo, tuttavia, non importa. Un libro si legge per quello che può dare. E Khadija è ufisico generato da una serie di suggestioni. È l’assoluto nel suo essere concepito, quellalcuni è la musica (Bach per il nichilista Cioran), per altri la scrittura (Borges per tutto qessere, appunto, definito letteratura).

Khadija, nel regno della sensualità etiope

David Fiesoli, Il TirrenoTra eros e avventura, una fuga ottocentesca da Livorno al Corno d'AfricaÈ una storia d'altri tempi, ottocentesca fin nel linguaggio, e speziata negli ingredienti: savventura, piccante e raffinata sensualità, delicato sentimento e un pizzico di giallo. Unaffonda le radici in un passato familiare autentico, e arriva con le sue fronde a sfiorare tl'incontro-scontro tra culture e religioni.La calura che si respira nelle pagine del romanzo di Paola Pastacaldi ha il suo picco neldonna che dà il titolo al libro: Khadija, sensuale etiope che 'incarna nella sua bellezza unegritudine che appartiene in realtà a tutte le genti'. La incontrerà Giuseppe PastacaldiLivorno verso 'una terra che vibra di una musica mai ascoltata': così Ottavia, moglie deitaliano a Aden e sorella di Giuseppe, definisce il Corno d'Africa, nell'invito che rivolge agiovane studente di Livorno. E a Livorno, quasi per un disguido, Giuseppe si trova ad aduello il suo miglior amico. Lo uccide. E scappa: su un battello a vapore raggiungerà laOttavia. Un viaggio che porterà il giovane livornese attraverso l'Egitto, la penisola arabiRosso e lo stretto di Bab el Mandeb, per approdare nel Corno d'Africa.Giuseppe affronterà un mondo sconosciuto, territori antichi e selvaggi, lungo la via degal promontorio degli aromi, toccando il regno di Adal e infine la città murata e sacra di Hviaggio esotico e sensuale, fatto di carne e sangue, tra i vicoli del Cairo e le delizie deglsul mare tra i canti dei marinai e sulla terraferma tra gli assalti dei predoni, le schiave numassacri, i pellegrinaggi, è un viaggio nell'esotismo dell'anima e dei sensi, fino all'inconfolgorante con Khadija.Paola Pastacaldi ha preso spunto da una storia familiare che si perde nell'Etiopia di fineUn nonno italiano, Giuseppe Pastacaldi, esploratore e diplomatico, la cui storia si intrecl'inizio delle colonie e i primi viaggi nel regno di Aksum e della regina di Saba. Una nonnuna tribù oromo, e il suo nome è Khadija Ahmed Yossouf. Il nonno visse tutta la sua vitaEtiopia, e la Pastacaldi, prima di iniziare il suo romanzesco viaggio, ha compiuto ricerchconsultando i documenti dell'epoca per capire quale fosse l'atmosfera in cui si immergeviaggiatori dell'Ottocento, alla scoperta di un altro mondo.Così il Corno d'Africa diventa anche un viaggio interiore, alla conquista di sé attraversoun crogiolo di razze ed etnie. Khadija diventa simbolo di una bellezza che attraversa i comodo di essere donna a cui si arriva dopo la descrizione di altri tre personaggi femminisorella di Giuseppe, che incarna la sofferenza per il distacco dalla propria terra e il ritroattraverso la sensualità del corpo, Vittoria, la fidanzata di Giuseppe, ombra del passato la tradizione, e Florence, l'esploratrice libera e coraggiosa. Ma è su Khadija, 'che vive inmusulmana ma è copta, che si esprime e si scioglie anche la complessità del nodo religl'incontro tra Giuseppe e Khadija è un incontro con l'Africa e il diverso da sé.Mal d'Africa ottocentesco

Nicolò Menniti-Ippolito, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova Venezia

Ci sono libri veloci e altri lenti, libri in cui è facile entrare e libri da cui, invece, è difficilefatti di poche parole ed altri di tante. Khadija (Pequod, pp. 245, euro 16) di Paola Pastacgiornalista trevigiana da tempo a Milano, appartiene alla categoria dei libri lenti, densi, cvolta impastoiano il lettore senza che quasi lo voglia. All'inizio si ha la sensazione che lpagina siano troppe, che vi sia una ridondanza di colori, di odori, di sapori, di metafore.storia prende corpo, ci si accorge che il libro è proprio questo: una specie di grande mespezie, colorato, vitale ma anche inquieto, a tratti marcescente. Khadija prova a raccontcosa strana che un tempo era chiamata mal d'Africa, ed era una sorta di innamoramentomondo in cui la vita e la morte, la sensualità e la naturalità si intridono, provocando quecui l'attrazione è estrema, ma non si disgiunge da una sorta di disgusto.Ed ecco allora perché, per raccontare questo, non basta una storia, ci vogliono tante paevochino sensazioni, che trasmettano questo sentimento sfuggente, che Paola Pastacaereditato da un nonno vissuto in Africa e da una nonna africana. Tutto ciò non toglie chsia. Una storia di fine Ottocento, in parte familiare in parte storicamente ricostruita sulladocumenti e testimonianze d'epoca. Ed è la storia di Giuseppe, studente livornese che uduello un amico e si imbarca per l'Africa, per sfuggire alla legge ma più ancora ai suoi flentamente l'Africa gli entra nel sangue, prima attraverso i racconti dei viaggiatori, poi aodori e le visioni, infine attraverso il corpo di una donna, Khadija, che racchiude in sé tusensualità d'Africa. Ed il libro è un viaggio, che inevitabilmente diventa anche viaggio dma fuori dagli schemi precostituiti, perché ad ogni tappa Giuseppe perde qualcosa inveguadagnarla. Fino a che resta privo dell'armamentario di giovane europeo e trova quel fnaturalità, di fisicità che lo apparenta all'Africa con cui viene a patti.Paola Pastacaldi, all'esordio narrativo, riesce spesso in un'operazione complessa, che èsuperare l'elemento documentario che c'è dietro la storia che racconta per trovare una sautenticità indiretta, recuperata faticosamente, trasmessa attraverso una lingua che si vcapace di restituire attraverso la corposità delle percezioni l'idea di Africa di Giuseppe, non poi così diversa, anche nella disillusione sul proprio ruolo di occidentali, da quella a noi più contemporanei.

Esotismo d'anima e di sensi rapiti

Claudio Toscani, LettureL'autrice pesca nelle memorie familiari di fine Ottocento l'avventura di nonno Giuseppegiovane studente livornese, che si rifugia in Africa dopo un fatto di sangue. Dapprima insorella Ottavia, sposa di Alfredo, console italiano ad Aden, poi raggiunge Harar, dove videterminanti esperienze della sua vita. Corrono tempi di imminente colonialismo, ma anprime esplorazioni di Paesi antichi, ancora immersi in atavica fisicità di azioni e sensaziromanzo intero sta nel viaggio e nell'approdo di nonno Giuseppe, tra desolata bellezza ydeliranti deserti d'Aksum e di Saba, voluttuose insidie del clima e colori e costumi mai pcredenze e misteri tra Bibbia e Corano. Ma la vera storia si apre e si snoda quando GiusKhadija, giovane etiope, letteralmente 'letizia degli occhi'.Il testo, che è tutto un fluido periodare di vibrante descrittività, ora di spostamenti, assamassacri, ora d'arabescata combinatoria metaforica (un'inedita cultura e un ancor più mmodo di porgerla, bussano agli occhi del lettore occidentale), dall'irruzione di questa depoi diventa racconto di un amore diviso tra rapimento emotivo ed esaltazione dei corpi.crinale che segna, da un lato, la casta scintilla affettiva e dall'altro, il risolutivo coinvolgpulsioni, ben sa l'autrice, nel suo muliebre 'intelletto d'amore', condurre il dettato tra sosacrale sensualità da Cantico dei cantici e febbricitanti epifanie di un eros moderno e d

Irma Taddia, Africa

L'Italia ha avuto una scarsa, quasi inesistente letteratura memorialistica ottocentesca incoloniale, inclusa anche la produzione femminile. Non abbiamo né scrittrici come KarenDoris Lessing, né per risalire nel tempo Mary Kingsley o Lucy Duff Gordon, solo per citafigure significative. I protagonisti della colonizzazione africana, viaggiatori, esploratori ehanno lasciato documenti autobiografici, a differenza di quello che è successo nelle alteuropee. In Italia le colonie sono passate quasi inosservate nell'ambito letterario. Inoltreproduzione più recente, romanzi e saggistica inclusa, legata all'Africa non ci offre moltoKhadija, il romanzo di Paola Pastacaldi, ha per protagonista l'Africa affascinante, quelladall'esotismo, il continente misterioso delle esplorazioni e dei viaggi dell'Ottocento. Il li

caratteristica di non rientrare in nessun ambito letterario precostituito, in quanto esula schemi tradizionali. In Khadija si mescolano diari e documenti storici, le memorie soggeintrinseca fantasia, i ricordi familiari, insieme ad un modo di vedere critico e ironico, adelaborazione concettuale delle tematiche e altro ancora, in una metafora narrativa che ècostruita su fatti di cronaca veri e avvincenti.L'autrice, come spiega in una nota biografica e anche bibliografica alla fine del romanzospunto da un doppio 'esotismo familiare', un nonno italiano che a fine Ottocento ha esl'Etiopia e sposato una donna nobile di Harar di origine oromo e di nome Khadija e un avissuto in Eritrea, ad Asmara, dal 1935 per più di vent'anni. Il romanzo nasce dunque suricordi familiari sia di una ricerca su fonti storiche e documentaristiche, strettamente lee all'area geografica intorno alla città etiopica e musulmana di Harar. La storia si snoda percorso delle carovaniere che gli schiavi facevano per raggiungere il mare e l'Arabia. LRimbaud visse ad Harar in quell'epoca. La bibliografia che fa da sfondo al romanzo è ricfonti alle quali Paola Pastacaldi ha attinto sono numerossissime, tra queste solo per citBollettini della Società Geografica italiana, quelle della Società di Esplorazione Commerdi Milano, articoli del 'Corriere della Sera' come l'inserto firmato da E. Scarfoglio nel 19libro di Richard Francis Burton che fu ad Harar nel 1856, i diari del capitano E.A. d'Alberdi Rimbaud da Harar nel 1888, le cronache degli eccidi degli esploratori narrati da superlibri di Cerulli, Cecchi, Annaratone, De Castro, Felter, Zaghi, Davidson, Del Boca, Ulldenanche Malraux e Flaubert, Mosley e tanti altri. La storia di Khadija vive dunque all'internricostruzione accurata nei dettagli, in un periodo tra Ottocento e Novecento, in cui l'Africon forza straordinaria nell'immaginario europeo. All'epoca il mondo sognava di raggiuselvagge e misteriose dell'Africa, i lettori scrivevano ai giornali offrendosi volontari per impossibili.Il protagonista, Giuseppe, un livornese, si troverà costretto a fuggire dall'Italia dopo aveun duello un compagno di studi di Pisa, partirà per Aden e poi raggiungerà avventurosadi Harar, alla ricerca di un nuovo equilibrio. L'incontro con Khadija sarà il culmine di uninteriore vissuto nel contesto di un'atmosfera acuta e sempre imperniata sui sensi. Un edell'anima. Il viaggio è ambientato nell'Africa degli esploratori, delle avventure quotidiandei commerci di merci e schiavi, fra epidemie, eccidi di europei con evirazioni, di avvenesplorazioni di ogni genere. Da Aden, con un sambuco, Giuseppe raggiungerà Zeila e pcarovaniera degli schiavi, seguendo passo passo le antiche cartine degli esploratori, quBrichetti o l'austriaco Philipp Paulischke, visiterà numerosi villaggi che sarebbe interesriscoprire oggi, per raggiungere Gildessa e infine Harar, considerata all'epoca una sortadelle razze europee in Africa. La scrittura è volutamente ottocentesca, il linguaggio è comodo da essere lussurioso, stravagante, imponente. Unico nel suo genere e capace di fl'atmosfera appunto di quei viaggiatori verso l'ignoto a rischio della loro vita.Che cosa ha attirato Paola Pastacaldi verso l'universo coloniale e delle esplorazioni sinfare un romanzo? È stato forse il desiderio di ricostruire la terra di Harar, il tentativo di dla memoria familiare e, infine, la volontà di narrare un esotismo quotidiano vissuto in reCertamente, molte cose insieme, queste e altre ancora. Khadija è un viaggio letterario cesotismo, un esotismo creato volontariamente attraverso una tensione verso l'ignoto e grazie a un linguaggio enfatizzato, carico di aggettivi e di profumi e odori sino all'esaspLa narrazione non è solo esotica, ma si basa su fatti veri di cui all'epoca erano piene le giornali, come la morte del Conte Porro, presidente della milanese Società di esploraziocommerciale in Africa, la morte del commerciante Sacconi, il decollamento e l'evirazionesploratori, Haile Selassie bambino, la vita controversa di Lig Jassu, La regalità di Meneras Makonnen, gli intrighi della regina Taitù, la vita ad Aden, la coltivazione del caffè moper mare sulle prime vaporiere lungo il canale di Suez, i canti dei marinai arabi che nellevagheggiavano e mitizzavano la sessualità, il tutto mescolato a divagazioni letterarie e fcitazioni del Corano e alle preghiere cristiane, infine la scoperta della bellezza della negKhadija.Tutto questo riempie il volume in una sorta di corsa frenetica all'esagerazione dei toni eCon questa ottica possiamo leggere molti capitoli, tra i quali Una donna nella notte, Harsanta, Khadija, l'estasi, La follia dell'Ogaden.Khadija ha una scrittura barocca, ossessionante e ossessionata, provocante e provocatviaggio nell'ideale e nel reale al tempo stesso, è apertura verso l'altro, metafora di una vprofondo senso della storia. Ma è la consapevolezza del futuro, non il richiamo al passasi coglie nel romanzo, la consapevolezza di un rapporto Europa/Africa determinato sì daall'interno del quale esiste ancora uno spazio interiore autonomo, da scoprire, vivere e incontro sulla via della 'negritudine' e forse allusivamente del meticciato, che tanto vivdiscussioni odierne.Il protagonista del romanzo fa immaginare tutto questo col suo vissuto e gli avvenimengli accadono intorno, in un'Africa medievale immersa nelle carestie e nella fame oltre chlussuosità del viaggiare. L'amore con Khadija, spontaneo e non costretto dalle circostaun emblema di una vittoria interiore con la storia, quasi un riscatto alle problematiche cGiuseppe sarà in fondo metafora, insieme agli echi politici cui il libro accenna. Romanzcostruito ma non forzato, Khadija crea una lettura che ci trascina fino all'inverosimile. Ucalcolato e al tempo stesso irruente.

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