Racconti di Terra e di Mare

di Silvestro Acampora, arboricoltore

“Dove finisce il mare” Chiesi un giorno a mio zio Domenico indicando la distesa azzurra che si poteva ammirare dalla loggia davanti alla casa dei nonni.

Zio Domenico smise il suo lavoro di bacchiatura dei fagioli e girò la sua faccia abbronzata, sudata e coperta di polvere verso il mare, guardò dapprima le isole del golfo poi, le due lunghe strisce di terra che si allungavano nel mare, come a voler misurarne la distanza, poi si chinò a guardarmi con le mani poggiate sulle ginocchia e disse “il mare non finisce mai, circonda tutta la terra”.

Lo zio si accorse di essersi cacciato nei guai e così dovette spiegarmi cosa significava “circondare”, afferrato il concetto, scesi le scale per osservare la grande montagna che si ergeva dietro la casa dei nonni, il suo colore rossastro contrastava con il verde delle pinete e l’azzurro del cielo, mi sembrava davvero enorme, risalii le scale e chiesi ancora “ la montagna zio, il mare circonda anche la montagna”?

Zio aveva ripreso il suo lavoro e ammucchiava i fagioli che con la bacchiatura erano usciti dai baccelli contorti.

Mi prese per mano, scendemmo le scale e indicando la montagna mi disse “se sali sulla cima della montagna e attraversi le terre che ci sono dietro arriverai ancora a vedere il mare”.

Così da quel giorno iniziai ad guardare la montagna con grande curiosità, immaginavo di scalarla fino a raggiungerne la cima, per poi voltarmi ad osservare la casa e le terre dei nonni, da lassù doveva sembrare tutto molto piccolo.

Ogni volta che potevo facevo domande a tutti gli adulti che mi prestavano attenzione, così scoprì che quella era una montagna particolare infatti, era in grado di lanciare nel cielo nuvole incandescenti e i suoi fianchi potevano aprirsi e lasciar scorrere inarrestabili lave di fuoco che travolgevano qualunque cosa si trovasse sul loro cammino.

Queste cose me le raccontava nonna Maria, che quando aveva la mia età aveva visto con i suoi occhi la montagna lanciare verso il cielo le sue nubi ardenti che poi, lentamente, assumevano la forma della chioma dei grandi alberi di pino e pian piano lasciavano cadere la cenere di cui erano fatte a coprire ogni cosa.

Nonna, raccontava delle case ingoiate dalla lava di fuoco e della gente che, non potendo fare altro, portava in processione le statue dei santi pregandoli di arrestare la lava.

In un caso, gli abitanti del paese di San Sebastiano abbandonarono, la statua del loro Santo patrono davanti alla lava che avanzava dicendogli “se non la fermi sarai tu il primo ad essere bruciato e distrutto”.

Nonna Maria si emozionava quando raccontava che il volto della statua di San Sebastiano, dopo essere diventata bianca come un lenzuolo fresco di bucato si imperlò di sudore e appena la lava arrivò a lambirne i paramenti, deviò il suo corso risparmiando il paese.

Durante l’inverno accadeva che la montagna si coprisse di neve, allora chiedevo se tutta quella neve poteva fermare la lava infuocata, nonna, che era una donna molto religiosa, rispondeva che niente e nessuno poteva fermarla, solo Dio e i santi con i loro miracoli alle volte ci riuscivano.

Poteva accadere però che i miracoli scatenassero delle gigantesche liti tra gli abitanti dei paesi confinanti infatti, capitava alle volte che la lava non venisse proprio fermata dai Miracoli dei Santi portati in processione ma, semplicemente deviata, così la lava che minacciava San Sebastiano, si riversava su Resina oppure, prendeva la direzione di Torre del Greco, paese la cui chiesa dell’Immacolata era stata distrutta e ingoiata innumerevoli volte dalla lava della Montagna.

A sentire nonna Maria, ciò non era dovuto al fatto che la Madonna dell’Immacolata, protettrice della città non fosse in grado di compiere miracoli, figurarsi, piuttosto erano gli abitanti della città a non meritare il suo intervento per i loro comportamenti peccaminosi.

Quando tirava vento mi piaceva ascoltare il fruscio che faceva attraversando le chiome degli alberi di olivo, guardavo le loro chiome alternare l’argento della parte inferiore delle foglie al verde cupo di quella superiore ed ero convinto che fosse l’agitarsi dei loro rami a generarlo.

Un giorno accompagnai nonna Maria in visita ad una sua amica a Torre del Greco e mentre loro chiacchieravano, dal balcone osservavo le case che arrivavano fino quasi al mare, da dove veniva un vento caldo, leggermente salato eppure non vi erano alberi!

Nonno Pasquale, che aveva fatto la guerra in Africa e conosceva le storie dei paladini, mi spiegò che il vento non lo generavano gli alberi e che esistevano diversi tipi di vento.

Quello di “Mare”, che portava la pioggia in autunno e in primavera, alle volte era caldo e quando soffiava forte scaricava la sua forza sulle onde del mare che si frangevano sulla costa portando il profumo e il rumore delle onde fino alla nostra casa e quello di “Terra” che arrivava invece dalla montagna d’inverno ed era freddo e pungente, portava il profumo dei pini e spazzava via dal cielo le nuvole.

Capitava alle volte, che la pioggia che seguiva ai venti marini colorasse tutto con una patina rossastra.

Nonno diceva che era la finissima sabbia di un grande deserto che il vento aveva trasportato dalla lontanissima Africa dove lui, quando era giovane aveva combattuto contro i soldati dell’Imperatore Hailè Salassiè.

 

 



Allegati