Donne handicappate del Burkina Faso. Una macchina industriale per fare il pane Cercasi

di Paola Pastacaldi

Salifo Zare, 52 anni, cinque figli e una moglie. Originario del Burkina Faso, il paese di Thomas Sankara, il Che Guevara africano ucciso 29 anni fa per le sue idee democratiche e il suo sogno di un riscatto civile del suo paese. Il Burkina è un paese dell’Africa occidentale con una superficie quasi uguale all’Italia, con 19 milioni di abitanti, due terzi della popolazione ha meno di 25 anni, l’economia è un disastro, il 90 per cento vive di agricoltura. Molti suoi compaesani vengono in Italia, ma non sono i primi della lista. Il Burkina è in cammino verso la democrazia da 15 anni.

Salifo, premio Civilitas Conegliano 2013, alla sua XIX Edizione, nella sezione Civiltà nella Comunità, ha una storia un po’ diversa da quella degli altri migranti recenti.

Maestro elementare nel suo paese e poi metalmeccanico qui a Treviso (con una fortissima vocazione alla mediazione culturale), è emigrato nel 2001 per migliorare il suo futuro lavorativo, (tra le molte cose che ha fatto anche il collaboratore de La Tribuna). Qualche anno fa è rimasto disoccupato e allora, anziché piangersi addosso, ha cominciato a raccogliere beni per i suoi connazionali più poveri rimasti in Burkina, anche perché è sostenuto dalla sua famiglia, dove ci sono tre persone occupate. La solidarietà - esordisce Salifo Zare da maestro riflessivo quale è - ad un certo punto va “assassinata”, come ha insegnato tra gli altri anche  Thomas Sankara, che ha conosciuto personalmente, quando faceva i giri nelle scuole. “Altrimenti la carità, come sanno i professionisti degli aiuti, ti uccide, invece che salvarti”.

“Ora ho un’altra idea speciale su cui sto lavorando - spiega Salifo Zare -. A Garango, (Dipartimento del Centro est del Burkina, nella provincia del Boulgou, ndr) c’è una associazione di donne disoccupate riconosciuta dallo Stato; vorrei procurare loro una macchina industriale per fare il pane, per questo sono in contatto con la Cgil. Vorrei impiantare questo grande panificio nella capitale Ouagadougou così che daremo pane a tanti e lavoro alle donne. Ma anche ai molti ragazzi sfortunati che vivono su una sedia a rotelle, perché hanno perso l’uso delle gambe e non fanno nulla. Passano tutto il giorno a chiedere la carità. Sarebbe molto importante aiutarli a diventare autonomi e ad autogestirsi. Dovrei trovare un tecnico che aiuti a realizzare questo panificio e che si occupi della fabbricazione del pane e che insegni a questi ragazzi che non hanno gambe come fare, perché non possono impastare ovviamente. Le donne potrebbero occuparsi della vendita attraverso i panifici e altri negozietti che hanno avuto già dei prestiti per aprire la loro attività, dove vendono anche sale, pigmenti e acqua con frigoriferi (fanno le salse piccanti con i fogli di Baobab). Qui in Burkina hanno anche organizzato la vendita di olio di burro di Karité grazie ad una Ong Bambini nel Deserto di Modena”.

Salifo fa una pausa, ma si capisce che ha in mente già molti particolari del progetto.

“Vorrei che le persone coinvolte nella vendita del pane aprissero dei conti intestati ad Association des femmes handicapées, dove mettere il ricavato nella casse locali di Risparmio, la Caisse du Producteur Burkina. Perché per prelevare sono necessarie tre firme, una della presidente di questa Associazione, la tesoriera, una terza scelta dall’assemblea dei soci. Bisognerebbe tenere un libro di contabilità e a fine anno vedere le entrate e le spese, in modo che il guadagno vada utilizzato per i loro bisogni, come i figli, la scuola, la salute, il vestiario. Molti di loro non hanno nemmeno l’acqua nel loro villaggio, né la luce. In ogni caso tutto il controllo finanziario sarebbe compito dell’Assemblea delll’Associazione sotto la mia presidenza”.

Salifo aiuta anche i ragazzi albini che, sappiamo, in alcuni paesi africani sono perseguitati o abbandonati a causa di una superstizione crudele che li vuole portatori di mala fortuna e molti di loro sono paralizzati. Dal Veneto parte una forte solidarietà anche per loro.

E’ stata la Fondazione Zanetti nel 2010 la prima a credere e ad aiutare solidamente Salifo e lo ha sostenuto sino ad oggi. E’ merito loro se è stato costruito l’edificio con due aule per il liceo Italo Burkinese di Garango, che è una prefettura che comprende sette piccoli Comuni, grande come la Lombardia (il nome è una forma di riconoscenza).

“Siamo in attesa di avere gli aiuti per costruire la terza e la quarta aula. Grazie alla Fondazione Zanetti è stata installata una pompa d’acqua nel cortile del liceo e anche le latrine, per rispetto dell’igiene. Per i nostri progetti ricevo tanti aiuti, tra gli altri dagli Amici di Ottorino di Onigo di Montebelluna. Da Insieme per l’Africa di Ceggia Venezia arrivano contributi solidali da anni. Ma anche dalla Caritas di Maserada e da quella di Vascon. L’Associazione San Vincenzo de Paoli di Spresiano e l’Anteas, l’Associazione Nazionale Terza Età per la Solidarietà, di Treviso che si occupa del servizio trasporto anziani. Dimenticavo che la ong Mani Verso di Mestre mi ha donato molte sedie, e lo fa ogni volta che parto con i container”.

Ogni Natale, prima che il container parta, Salifo organizza una cena solidale a Treviso e il raccolto gli serve per comperare riso, pasta e olio che serviranno per una grande festa all’arrivo dei container nel Burkina. Quello è un giorno di festa e al pranzo sono invitati tutti gratuitamente.

“A luglio sono partiti due container sanitari con vestiario per l’Association des Femmes e de la Commune du Garango, che si trova a140 km dalla capitale e che raccoglie 800 donne e l’Associazione donne handicappate, alcuni sono senza piedi a causa di malattie tra le quali la meningite. A novembre sono partiti altri due container con materiale sanitario ancora e vestiario, letti per ospedali, biciclette per bambini, viveri”.

E tu cosa fai, come vivi?

“Sono metalmeccanico, ma sono per il momento senza lavoro perché sono stato operato al tunnel carpale, e questo mi permette di dedicarmi all’impegno solidale per i miei compaesani quasi a tempo pieno, loro sono la parte della società che ha più problemi, sono i più deboli. Ora sono guarito dal tunnel e sto cercando lavoro, per fortuna c’è la mia famiglia, la moglie e i due figlie lavorano tutti come operatrici sanitarie. Oggi sono molto felice perché il mese scorso due dei miei figli, un ragazzo di 9 anni e una ragazzina di 14 anni, hanno ottenuto la cittadinanza italiana, come minorenni. Sono molto contento. Aspettavamo dal 2015”.

So che hai  fondato una associazione di maestri africani internazionale che opera in Italia e che si chiama Educatori Africani Italiani Senza Frontiere (con sede a Treviso in vicolo San Zeno B/3 tel. 0422 1720078), che raccoglie una decina di maestri di varie nazioni (Burkina, Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Togo, Guinea Conakry).

Che obiettivi ha questa associazione?

“Vogliamo anche aiutare i nostri connazionali qui e occuparci anche della cooperazione internazionale verso il nostro Paese nelle attività di sviluppo della popolazione. Qui ci incontriamo un paio di volte l’anno per valutare i vari casi, cosa intendiamo fare per il nostro Paese, ci occupiamo come maestri dei figli di immigrati che lavorano e non possono mandare al doposcuola i loro ragazzi, facciamo mediazioni per chi non capisce bene l’italiano e corsi di scuola con altre organizzazioni per l’ alfabetizzazione degli adulti”.

Aiutare lì, dunque anche tu sei su questo punto?

“Se possibile cerchiamo di avere contatti e lavorare direttamente con le ONG che operano nei nostri Stati. Spesso danno soldi allo Stato, ma questi soldi non arrivano alla popolazione, serve l’onestà, il resoconto dettagliato. La trasparenza. Noi all’inizio di ogni progetto e anche alla fine portiamo le foto del lavoro fatto con i collaboratori e con le autorità locali coinvolte sempre, con il sindaco del comune in modo da far capire se il progetto è veramente andato in porto ed è stato seguito”.

Salifo tace e poi mi guarda e aggiunge pensieroso: “Avrei da segnalare anche una ricerca urgente. L’ospedale di Saint Paul a Ouagadougou ha bisogno di una macchina per la mammografia perché quella che avevano si è rotta. In tutto il paese ce ne sono solo tre e, dunque, per fare un controllo le donne devono fare chilometri e chilometri anche a piedi oppure rinunciano, come accade spesso. Ecco mi piacerebbe aiutare questo ospedale”.



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