Una figlia ricorda. I racconti di mio padre, calabrese di Cosenza, classe 1911, partito per l’Etiopia nel 1933 per fame. Fu il primo a passare sull’Ambalagi, da Mogadiscio ad Addis Abeba.
Filippina Arena, Treviso, gennaio 2017
Le sere passate a raccontare. Da ragazza, quando tornavo dal collegio dove frequentavo il liceo, la sera, specialmente in inverno, io e mio padre restavamo seduti a tavola anche dopo cena. Parlavamo, anzi era piuttosto lui a parlare e io ascoltavo incantata.
Mi raccontava della sua esperienza in Africa.
Giuseppe Terenzio Arena, nato nel 1911 a Fagnano Castello, un paesino della Calabria, in provincia di Cosenza, nel 1933 decise di partire per l’Etiopia. Una decisione dettata dalla fame. A Fagnano non c’era niente: né lavoro né da mangiare. E così lui, come tanti altri compaesani, iniziò il viaggio della speranza.
Durante quelle sere parlava con le labbra atteggiate ad un sorriso discreto e sereno. Il volto disteso.
“Arrivai in Etiopia e rimasi stupito delle possibilità che offriva: c’era da lavorare e farsi una posizione, oltre che non patire più la fame. Il territorio era molto bello e le città ricche di attività e fermenti sociali e culturali. Specialmente Asmara. Le persone accoglienti e gentili e le donne generose e belle. Mi sembrava di essere arrivato in nuovo mondo, era un altro mondo. Fino a quando non scoppiò la guerra. Era il 1935. La famosa guerra d’Africa che doveva portare al Grande Impero. Fui arruolato come camionista addetto a portare i viveri ai soldati. I ribelli che incontravo lungo il percorso mi lasciavano passare perché davo loro del cibo. Finita la guerra decisi di creare un’attività in proprio: aprii una cava di pietre e mi misi a costruire strade. Il lavoro decollò subito e riuscii a farmi una buona posizione tanto da avere una villetta con tutti i comfort del tempo: in giardino ascoltavo buona musica dal mio grammofono, avevo tanti dischi in vinile. Stavo proprio bene a Gimma. Ma arrivò la sciagurata seconda guerra mondiale. Mi venne sequestrato tutto e fui mandato di nuovo in guerra. Quando arrivarono gli inglesi mi fecero prigioniero. Restai in un campo di concentramento fino al 1949. Anche nel campo stavo molto bene: un capitano mi aveva preso a ben volere e io ricambiavo come potevo. Poi per motivi familiari ritornai in Italia al mio paese con tante sterline e una bambola di pezza nera assieme ad una boccettina di smalto per unghie da regalare alla mia unica nipote”
Mia cugina usa lo smalto da allora e non sa farne a meno in ricordo di zì Terenzio.
In sintesi, queste le poche cose che ricordo di quei lunghi racconti serali.
Io immaginavo i luoghi, le persone, la sua vita da uomo libero e quella invece da prigioniero. Alcune foto da me conservate lo ritraggono ora su un camion, ora in divisa, ora sulla sdraio nel giardino di casa sua, mentre legge un giornale e con accanto il grammofono.
E immaginavo l’Ambalagi: fu il primo ad oltrepassarlo da Mogadiscio ad Addis Abeba. Mi beavo di quei racconti e di tanti, tanti particolari, ormai dimenticati.
Ciò che non dimentico mai è invece il suo viso mentre parla: era felice.
In particolare mi sono rimasti impressi i suoi occhi: guardavano lontano, vedevano l’Etiopia, la Somalia, l’Eritrea. Vedeva l’Africa . Aveva “il mal d’Africa”.
NOTA BIOGRAFICA
Filippina Arena, nata a Fagnano Castello (CS) il 1-2 1951. Laureata in lettere e filosofia. Abilitata in filosofia, pedagogia, psicologia sociologia, ha insegnato 5 anni in Calabria con incarichi temporanei e poi dal 1977 nel Veneto negli Istituti Superiori di 2° grado, per oltre 30 anni , poi nell’ Istituto paritario Galileo Galilei “ di Tv per 12 anni. Una volta terminata l’esperienza dell’ insegnamento scolastico ha conseguito 2 Master : il primo all’ISRE -VE in “Training manager e coordinatrice di progetti formativi “, il secondo presso lo IUSVE di Ve-Mestre in “Counseling educativo.” Oggi si dedica alla professione di Counsellor per aiutare le persone con difficoltà di comportamento a risolvere i propri problemi, ma soprattutto per indirizzare gli interessati a imparare a gestirli ed eliminarli. Ha collaborato per 14 anni con la Società filosofica italiana, in particolare nella sezione trevigiana, di cui è stata varie volte presidente e altre segretaria, organizzando seminari e convegni. Ha collaborato con l’Associazione Italiana Formatori-Delegazione Veneta, in veste di referente per la scuola e con l’Amci (Associazione Movimento Cultura Infanzia).