Don Angelo Regazzo, missionario dal 1960, dall’Etiopia all’Eritrea e ritorno. Una vita tra guerre e carestie sino ai ragazzi di strada di Addis

di don Angelo Regazzo

Nasce a Vigonza, Padova, il 18 novembre 1943.

Frequenta le scuole Elementari a Carpane (1949 – 54). In terza elementare si sente attratto alla vita missionaria. Nel 1955 lascia la famiglia ed entra nell'Istituto Missionario Cardinal Cagliero di Ivrea, Torino, diretto dai Salesiani di Don Bosco. Dopo la quinta ginnasio nel 1960 a 17 anni lascia l'Italia e con un lungo viaggio in nave di 27 giorni giunge in Thailandia dove vi starà per 22 anni. Nel primo anno fa il Noviziato e impara la lingua Thai che parla e scrive correntemente. Nella foresta di Hua Hin farà un corso di sopravvivenza in giungla che gli servirà molto per vincere le innumerevoli difficoltà di adattamento e di inculturazione che la vita missionaria gli offrirà sia in Asia e specialmente poi in Africa. Dopo il Noviziato viene mandato a Hong Kong dove farà gli studi inglesi (GCE e BA) e il Corso di Filosofia Pura. Si specializza in Lingue. Nel 1966 fa ritorno in Thailandia e dirige il reparto Stamperia nella Scuola Tecnica di Bangkok. Dal 1968 al 1972 frequenta il Corso di Teologia a Gerusalemme, Israele. Durante il periodo estivo organizza campi estivi a Istanbul, Turchia, e fa da guida turistica ai pellegrini di Pro Civitate Christiana dei Focolarini “Sulle Orme di San Paolo”. Il 15 luglio 1972 viene ordinato Sacerdote nella chiesa parrocchiale di Vigonza dal Vescovo Mons. Girolamo Bordignon, presenti il Sindaco e tutte le Autorità Comunali. Il Parroco, don Pietro Checchetto, organizza in modo eccellente la cerimonia e il banchetto solenne. Tutti i Vigontini si stringono con affetto attorno al loro Novello Sacerdote Missionario.

Dopo una breve permanenza in Parrocchia don Angelo fa ritorno alla sua amata Thailandia dove dirigerà prima la Scuola Tecnica di Don Bosco a Bangkok e poi la grande scuola accademica di Udorn Thani con 2500 allievi. Nel 1981 il Rettor Maggiore, Don Egidio Viganò e il suo Consiglio cercano “volontari” per il Progetto Africa e don Angelo risponde prontamente lasciando alle spalle un grosso corredo culturale e lingue orientali. All'età di 38 anni riparte da zero nella misteriosa Africa. Viene incaricato a fondare un Seminario Minore e una Scuola Tecnica a Makalle, Ethiopia. Deve cimentarsi con altre due nuove lingue, Amarigna e il Tigrigna. Nel 1984-85 vive sulla sua pelle la tragedia della carestia e della fame che colpisce il Nord Ethiopia e causa la morte di un milione e quattrocentomila persone. Don Angelo si butta nella mischia macabra di scheletri ambulanti. Assieme a Cesare Bullo lancia un accorato appello al mondo. Arrivano in massa i giornalisti e gli operatori TV da tutto il mondo. Si muovono cantanti e artisti. Il canto “We are the World., we are the Children...” commuove tutto il mondo e cominciano a piovere gli aiuti umanitari. I grossi aerei da carico C130 atterrano a decine ogni giorno sulla pista di terra battuta di Makalle. Enti Internazionali e Governi fanno capo all'unica   struttura che funziona sul posto, i Salesiani di Don Bosco. I nomi dei due salesiani sul campo verranno conosciuti in tutto il mondo: Cesare Bullo viene chiamato Bud Spencer e don Angelo Regazzo Terrence Hill. Con un gruppo di 100 volontari quest'ultimo pianta 350 tende al giorno che arriveranno presto a circa 10,000 nei soli dintorni di Makalle. C'è puzza di morte ovunque e si deve ricorrere alle fosse comuni per la sepoltura. Il tifo pitecchiale fa strage nelle tendopoli. La povera gente denutrita e debolissima non ha scelte: o morire di tifo o morire del terribile antibiottico CAF (Choranphenicol), l'unico che può debellarlo ma che richiede una forte costituzione fisica. Anche don Angelo si prende il tifo pitecchiale prima e la broncopolmonite chimica poi. Perde 15 chili di peso ma, grazie al suo fisico forte, ce la fa. Passata l'epidemia pianta un milione e 400 mila piante per ricordare le vittime della fame. Da quella iniziativa parte il grande Progetto di Riforestazione del Nord Etiopia per cui verrà chiamato il “Pollice Verde del Tigray”. Ha la grande fortuna di lavorare accanto alla Santa Madre Teresa di Calcutta che lo invita spesso a predicare gli Esercizi Spirituali alle sue Suore in Ethiopia e nello Yemen. Nel 1992 i banditi gli tendono un'imboscata per derubarlo e ammazzarlo, ma Qualcuno lassù lo protegge e la pallottola diretta alla testa viene deviata da una lamella di ferro di 4 mm che fa da cornice a una rete metallica messa da don Angelo stesso 15 giorni prima per proteggere i fanali della macchina, e gli frattura la tibia in 5 parti. Arrivano di corsa i banditi e gli intimano di uscire dal veicolo. Don Angelo non perde la calma anzi trova la forza per riprenderli duramente e domandare loro perché facessero questo a un missionario che era lì per aiutare i poveri. Essendo le altre porte della Land Rover tutte bloccate, uno dei banditi entra dalla porta del guidatore, passando tra lo sterzo e don Angelo, calpestandogli la gamba rotta e causandogli dolori atroci! Rovista un po’ tutto e poi gli porta via quello che gli sembra abbia valore: giubbino, vestito da prete, orologio, occhiali e quindi anche il borsello e se ne va. Si avvicina il capo dei banditi e gli urla: “O la borsa o la vita!” - puntandogli il mitra M 14 alle tempia! Passarono pochi secondi terribili in cui don Angelo rivide in un lampo tutta la sua vita con una limpidezza incredibile. Aveva già sentito da altri questa cosa: prima di morire Dio, nella Sua infinita misericordia, in una zumata-lampo ti concede di vedere tutta la tua vita e quindi ti dà l’opportunità di perdonare e di essere perdonato, ‘lasciapassare obbligatorio’ per essere salvati! E’ quello che fece anche don Angelo ma aggiunse pure al bandito che stava per premere il grilletto: “Quei maledetti soldi sono nel borsello che il tuo compare ha appena preso” I due si scambiarono poche parole e quello, rassicurato che i soldi erano stati presi, 350000 delle vecchie lire che sua sorella Lisa gli aveva dato da portare al bimbo che lei aveva adottato a Makallè pochi anni prima, gli disse: “Ora puoi andare”

Lo lasciarono lì sanguinante e con una gamba rotta. Sarà una macchina dei soldati che passò un’ora dopo a portarlo all’unico ospedale della zona che però non aveva medicine se non un po’ di alcol e aspirina, perché si era subito dopo la guerra di liberazione dal Dittatore Minghistu e non funzionava ancora nulla. All’ospedale volevano amputare la gamba ma don Angelo si oppose fermamente: “Volete tagliare gambe? Tagliate le vostre! Morire di setticemia? Beh, se non son morto quando avevo il mitra alle tempia vuol dire che non è la mia ora. La gamba non si taglia!” Quindi chiese a una signora di prestargli il suo bel bastone da viaggio dicendole: “Se vengono i dottori con una sega e una bottiglia di araki (anice locale) svegliami: ho la gamba rotta ma le braccia sono ancora molto buone!” Come Dio volle si riuscì a mandare un messaggio via radio ai Salesiani di Addis e con un piccolo aereo Cesna don Angelo fu trasportato alla Capitale e il giorno dopo due giorni in Italia, dove con tre gessi e tanta fisioterapia gli salvarono la gamba. Nel 1995 viene mandato in Eritrea per fondare l'opera salesiana in quella nazione dove rimane 13 anni. In otto anni mette in piedi una grossa scuola tecnica per 250 allievi, un seminario e un centro sociale a Dekemhare, a 40 Km dalla capitale Asmara. Nel 1998 scoppia una guerra inutile tra l'Etiopia e l'Eritrea, chiamata pure “la guerra dei poveri” con più di 100 mila morti. Don Angelo con una ventina di suore di diverse Congregazioni si prende cura di 50 mila rifugiati a Mayabar organizzando per loro distribuzione di cibo, servizi igienici e acqua potabile. Quella situazione d'emergenza dura per più di due anni. Nel 2000 la Maria Pia Fanfani con l'Ambasciatore Giovanni Bandini vengono a visitare la tendopoli dei 50 mila e ottengono che a Don Angelo venga dato un riconoscimento, Il Premio della Speranza. Al Quirinale gli viene consegnato una medaglia e una scultura di Joe Pomodoro. Seguono le visite al Presidente Azeglio Ciampi e al Papa Giovanni Paolo Secondo.

La guerra con l'Etiopia lascia la nazione in ginocchio. Don Angelo si butta a capofitto nel sociale e inizia il Progetto Pozzi. In sei anni ne costruisce più di 40 per i villaggi poveri nei dintorni di Dekemhare. Poi, con l’aiuto dei grandi amici e benefattori Mggini Agostino, Emilo Bonomini e Battista Sala costruisce due scuole prefabbricate per due poverissimi villaggi musulmani nella Piana d’Ala e due chiesette per i cattolici che vivono lontani dai grossi centri abitati. Gestisce il Programma di Adozioni a Distanza che arriverà presto a mille bimbi. Ma la cosa più bella che abbia realizzato è l'aver incarnato la sua opera nei suoi confratelli locali. Al momento ci sono più di 20 Salesiani Eritrei, di cui 7 sacerdoti, e riescono a mandare avanti tutte le opere. A dieci anni dalla pallottola dei banditi la stessa gamba si rompe ancora una volta. Don Angelo con la sua moto fuori-strada era andato a visitare un villaggio vicino a Nefasit, quando un cammello gli taglia la strada e si rompe ancora la stessa gamba. Piove sempre sul bagnato! Essendo domenica all’ospedale gli dicono: “Non ci sono i dottori, vieni domani!” Riesce a rientrare in Italia e a salvare la gamba ancora una volta. Nel 2008 viene espulso dall’Eritrea assieme ad altri 22 missionari forse perché ‘testimoni scomodi’. Tutti i progetti da lui iniziati comunque sono portati avanti dai suoi confratelli Salesiani eritrei. Due mesi dopo, cambiando la foto col colletto da prete con una con una bella cravatta rossa, non viene riconosciuto dall’Ambasciata eritrea a Roma che gli dà un Visto turistico di un mese. Rientra in Eritrea quatto, quatto e, assieme con i suoi amici Emilio e Battista, riesce a completare due scuole prefabbricate che aveva lasciate incomplete alla sua espulsione. Dopo il mese concesso dal suo Visto Turistico, prima di uscire va a salutare il Ministro dell’Educazione, suo amico, che gli dice: “Sapevo che eri rientrato e ti abbiamo protetto alle spalle”. Amicizia vera o interesse per avergli completato due scuole?! Dopo alcuni mesi in Italia riparte per l’Etiopia dove i Superiori lo mandano a prendersi cura dei Ragazzi di Strada al Bosco Children Centre di Addis Abeba, dove è attualmente da quattro anni. Si esce di notte per le strade della capitale con due macchine e si incontrano i ragazzi che dormono nei tombini, sotto i ponti e sui marciapiedi. Ce ne sono più di 40 mila ad Addis. Sulla strada non si dà loro niente! Si ‘propone’ loro di aiutarli a cambiare vita. Dopo 12 incontri sulla strada si accolgono quelli che lo desiderano al Bosco Uno, centro di orientamento e di prova. Vengono al Centro un giorno alla settimana per due mesi. Si dà loro sapone per lavrsi per bene e detersivo per lavare i loro vestiti stracciati pieni di pidocchi. Si ‘presta’ loro una tutina per il giorno e dovranno restituirla alla sera prima di ritornare sulla strada. Quindi due giorni alla settimana per due mesi e poi tre giorni alla settimana per altri due mesi. Duranti questo duro tirocinio imparano a infilare perline, a lavorare il bambù e a fare altri piccoli lavoretti in cuoio che li aiutano a cambiare la ‘mentalità dei ragazzi di strada’, ma alla sera devono sempre tornare sulla strada e confrontarsi con la realtà della droga e dei vizietti della strada. Dopo sei mesi al Bosco Uno li accogliamo al Bosco Due dove staranno giorno e notte per tre anni e qui diamo loro praticamente TUTTO. Al Bosco Due imparano un mestiere, imparano a leggere e a scrivere, frequentano la scuola o vanno a lavorare in fabbrica. Alla fine dei tre anni li re-integriamo nella famiglia e assistiamo pure la loro famiglia affinché il ragazzo non ritorni di nuovo sulla strada. Al Bosco Uno ne abbiamo costantemente una cinquantina, mentre al Bosco Due ne abbiamo 120. Il Bosco Due è aperto pure a ragazzi e ragazze che frequentano la scuola tecnica come esterni. Da un anno abbiamo cominciato a visitare i ragazzi nelle carceri giovanili. Ci siamo fatti amiche le Autorità delle carceri le quali han permesso a una ventina di giovani carcerati di scontare la loro pena al nostro Centro Bosco Due