GIARDINI INDRO MONTANELLI. I PATRIARCHI CHE HANNO VISSUTO LA STORIA A cura di Silvestro Acampora e Paola Pastacaldi

Alla scoperta dei segreti di un parco storico. Dall'albero del caffè, all'albero dei dinosauri, alle varie querce americane e non sino a quella del fulmine.

GIARDINI INDRO MONTANELLI.

I PATRIARCHI CHE HANNO VISSUTO LA STORIA

A cura di Silvestro Acampora e Paola Pastacaldi

 

 

I Giardini Pubblici Indro Montanelli sono un parco di Milano situato nella zona di Porta Venezia e realizzato a fine Settecento con un impianto alla francese. Nel 2002 sono stati intitolati al giornalista scomparso Indro Montanelli. Fu il primo parco cittadino progettato per un uso pubblico.

Per oltre due secoli sono stati chiamati 'Giardini pubblici', 'Giardini di Porta Venezia' o semplicemente 'I giardini'. Nel 1780 l'architetto neoclassico Giuseppe Piermarini (suo anche il progetto del Teatro La Scala) fu incaricato di trasformare quell'area in un parco pubblico, inglobandovi gli spazi acquisiti di due monasteri, entrambi con propri giardini. I lavori furono realizzati tra il 1782 e il 1786. Il parco include altri edifici significativi, Palazzo Dugnani del Seicento e il Museo Civico di Storia Naturale del 1892. I Giardini hanno vari ingressi, dai Bastioni di Porta Venezia, da via Manin, da via Palestro e da corso Venezia.

Le schede che seguono corrispondono ad una sorta di biografia essenziale di quattro alberi monumentali, tra i più antichi dei Giardini, che sono stati il tema di una passeggiata storico naturalistica il 3 e il 4 ottobre 2015 in compagnia dell’arboricoltore Silvestro Acampora e della giornalista scrittrice Paola Pastacaldi.

 

 

 

 

 

1   QUERCUS RUBRA o QUERCIA DI MONTALE

 

 

La quercia di Eugenio Montale si trova a pochi passi dal Museo di Storia Naturale e dal Planetario Hoepli. È situata all'estremità di un bel prato, dove la gente usa prendere il sole. Si dice che Eugenio Montale, premio Nobel per la Letteratura nel 1975, scrittore italiano ma anche poeta, traduttore e critico musicale, avesse l'abitudine di recarsi alla quercia, per leggere o scrivere. Niente di più facile, visto che era giornalista del Corriere della Sera, la cui sede storica si trova ancora oggi a pochi passi dal parco, in via Solferino. La quercia di Montale è una Quercus Rubra, Quercia Ross,a del Nord America. E’ una delle piante più antiche del parco e delle più grandi di Milano, la sua età stimata è intorno ai 200 anni. Questa quercia ha tutte le caratteristiche di un albero monumentale, ciò significa che entra a pieno titolo nell'elenco di alberi protetti dalla legge numero 10 del 2013. La legge ha il compito di tutelare e incrementare tutto il patrimonio arboreo nazionale, ma in particolare gli alberi monumentali, come questo, che non possono essere abbattuti, salvo casi eccezionali e di comprovato pericolo. Purtroppo l’azione dei funghi ha minato e degradato il legno del suo enorme tronco che ha l’interno completamente cavo e non è più in grado di sorreggere il peso delle enormi branche. Ma conserva ugualmente la sua bellezza e attira sempre molta gente che ama sedersi vicino alle sue radici.

Sino a pochi anni fa la sua chioma era intatta, folta e rotonda e di una ampiezza davvero armoniosa. Entrare al parco e trovarsi davanti alla sua presenza verde e rigogliosa e lussureggiante trasmetteva un senso di pace in chi la guardava, una sensazione metafisica e spirituale. Una sorta di armonia tra l’essere umano e il mondo vegetale che lo ospita. Gli alberi hanno spesso questa forza magnetica di attirare i visitatori e legarli alla loro bellezza, vuoi per ammirarli o anche solo per sedersi sotto le sue fronde, goderne il fresco, il profumo e, non ultimo a volte, ascoltare il lieve rumore simile ad una musica che fanno le foglie o i semi contenuti nei baccelli scossi dal vento. L’uomo ha vissuto secoli nei boschi e ancora oggi gli alberi più antichi, che vengono definiti non a caso patriarchi, sono in grado di provocare nell’uomo questo sentimento di partecipazione emotiva e di unione ineffabile con la natura e l’universo.

Questo splendido esemplare di quercia è avviato verso la fine del suo ciclo vitale. Il tronco è completamente cavo e fatica a sorreggere il peso delle enormi branche. La chioma si è molto ridotta e il tronco ha molte lesioni, dovute al proliferare di funghi. Questo non vuol dire che morirà presto, vivrà ancora probabilmente molti anni. Questo tipo di quercia è di origine americana ed è molto più fragile delle querce europee, che hanno un ciclo vitale decisamente più lungo e possono arrivare sino a ottocento anni di vita. Le querce americane hanno un legno che si degrada più facilmente. La quercia era anticamente un albero sacro a Giove per la sua maestosità e per la durezza del legno. Nei Giardini Indro Montanelli ne sono presenti numerosi esemplari.

L'Italia è un paese che si allunga sino al Mediterraneo e questa sua conformazione le ha permesso di ospitare varie specie vegetali, tra le quali la rarissima quercia greca (Quercus Macrolepis Vallonea). Diffusissimo è, invece, il leccio, che caratterizza fortemente la macchia mediterranea. Molti botanici consideravano gli alberi della macchia mediterranea degli alberelli, come ad esempio il leccio, una specie caratterizzata da una crescita lentissima, che solo in pochi casi può raggiungere e superare i trenta metri di altezza e le centinaia di anni di età. Alcuni esemplari monumentali di oltre trenta metri si possono ammirare nel Bosco di Capodimonte a Napoli, una antica riserva di caccia conservata dal Seicento. Grazie a questa condizione i suoi alberi si sono sviluppati nella loro maestosità.

La maggior parte della vegetazione della macchia mediterranea dopo i quarant'anni di età assume il caratteristico aspetto arboreo. Una diversificazione e caratterizzazione che rende ogni esemplare in qualche modo unico, non c’è mai un vecchio albero uguale ad un altro. Forse questa caratteristica dovrebbe aiutarci a riconsiderare e rivalutare anche la vecchiaia dell’uomo, tessendo l’elogio dell’invecchiamento, in quanto momento fondamentale nell’approfondire e comprendere il proprio carattere.

La Quercia di Montale è alta dieci metri e ha una circonferenza di 481 centimetri. Ma poiché si avvia alla fine, come abbiamo già detto, per garantire la sicurezza dell'area sottostante la chioma è stato necessario realizzare dei sostegni metallici per sorreggere i suoi rami.

Per la salute della quercia il Comune effettua dei controlli semestrali con esami fotostatici per verificare la sua stabilità ai colpi di vento. Sempre per motivi di sicurezza e per impedire ai visitatori di sedersi sotto la chioma, la quercia è stata recintata con una staccionata di legno. Ma ci si può sedere vicino ugualmente, anche se non proprio sotto. Ogni giorno molti visitatori lo fanno, essendo il prato dove si trova ben esposto al sole.

Come in altre città, anche a Milano, sono arrivati moltissimi profughi. Alcuni di loro, gli eritrei per la precisione, hanno trovato rifugio dalle intemperie sotto le chiome dei grandi alberi, dove stendono i panni lavati alla fontana del parco, proprio sulla staccionata della quercia di Montale. L’Eritrea, ricordiamo, fu la prima colonia italiana per oltre cinquant’anni, ed era al tempo considerata una seconda patria, oggi tormentata da una dittatura tra le peggiori al mondo, come si legge nel recente rapporto dell’Onu, il che ha provocato la fuga in massa di migliaia di eritrei che non sembra arrestarsi.

Tornando alle querce più in generale ricordiamo che avuto un grande valore nella storia dell'uomo, in quanto con il loro legname hanno consentito l'evoluzione del mondo occidentale. Hanno permesso la costruzione di navi e flotte, di botti per il vino e travi per la case e, purtroppo, anche materiale per le guerre, per i carri e le trincee, come è accaduto durante le guerre napoleoniche e fino alla prima guerra mondiale.

Non si esaurisce qui la sua utilità, le sue ghiande sono un alimento molto energetico per i suini e nel corso delle carestie, che si sono succedute in tutta Europa, sono servite anche da alimento di base per le popolazioni affamate. Durante la seconda guerra mondiale con le ghiande si faceva un surrogato del caffè e persino della farina per il pane. Dalla quercia si ricavano poi tannini per la concia delle pelli, il legno per le botti destinate all’invecchiamento di vini e liquori pregiati come il cognac e per aromatizzare la grappa. Un tempo dalle galle, le malformazioni che i parassiti formano sulle foglie e sui rami, si ricavavano vari inchiostri. La quercia è uno degli alberi più popolari proprio per la sua bellezza, caratterizzata da un tronco breve, da rami ben slanciati verso l'alto, che le conferiscono una forma elegante. L'esemplare di cui parliamo ospita una colonia di lucertole, alcuni topi ed è stato colonizzato da insetti, tra i quali i bellissimi coleotteri cangianti. La presenza delle larve di questi insetti attira spesso uccelli insettivori a caccia di cibo.

Nei Giardini Montanelli è possibile ammirare anche i picchi, tra gli uccelli più affascinanti dei nostri boschi, un tempo sacri a Marte e totem del popolo dei Piceni. I picchi sono degli arrampicatori provvisti di becco a scalpello, adatto a cercare le larve nel legno degradato gli alberi. Fanno un verso squillante, simile ad una risata umana. Sono conosciuti per il rumore che provocano quando tambureggiano ritmicamente il tronco, alla ricerca di insetti. E’ raro a vederli in aree molto urbanizzate.

 

 

 

 

2 QUERCUS ROBUR O DELLA BIODIVERSITA’

 

 

La Quercia Robur o della biodiversità si trova in prossimità dell’ingresso centrale di via Palestro. E’ una quercia caratteristica dell’area padana e tra le più diffuse in Europa. E’ caratterizzata da una crescita lenta e da una rinomata longevità. La quercia era un albero sacro, consacrato a Giove, sia tra i Romani, che i Celti, i Greci e gli antichi ebrei. La Sibilla usava annunciare le sue profezie sotto una quercia.

Altri alberi un tempo sacri erano l'acero, il tasso e l'olivo per tutti i popoli mediterranei. L'olivo in particolare, secondo una antica leggenda tramandata da Omero, sarebbe stato donato agli uomini dalla stessa Atena. L'olivo ha consentito all'uomo di vivere grazie ai suoi frutti, al suo olio combustibile, usato anche come medicamento e come lubrificante. Ancora oggi è un albero che rientra nei rituali delle religioni monoteiste. Noè, quando cercò rifugio nell’Arca, per vedere se c’era della terra emersa liberò prima un corvo, che si cibò di cadaveri e non ritornò indietro, poi una colomba. La colomba tornò con un ramoscello di olivo nel becco, dimostrando l’esistenza di una terra emersa vicina. E’ legato a rituali anche presso i popoli mediorientali, sia a fine estate che al tempo della vinificazione. Questa Quercia Robur è alta 10 metri e ha una circonferenza di 314 centimetri e una età stimata di 150 anni. È stata purtroppo capitozzata. All'interno del suo tronco vivono molti insetti che lo mangiano. E' perciò marcescente. La riduzione del numero di querce di grandi dimensioni (cioè dal tronco superiore ai 100 centimetri di diametro) sta provocando il rischio di estinzione di alcuni insetti che sono in grado di concludere il loro ciclo biologico esclusivamente sulle querce. Uno tra questi è il Cerambyx Cerdo, un coleottero inserito nella lista degli insetti in via di estinzione dello IUCN, l’Unione mondiale per la conservazione per la natura, che dunque è protetto. La quercia ospita anche una colonia di lucertole e parecchie formiche e per questo motivo si può considerare un concentrato di biodiversità, cioè di diverse forme di vita.

Le marcescenze visibili sono il risultato dell’azione degradatrice dei funghi che hanno colonizzato il tronco dell’albero. Questi insetti vivono dentro i tronchi dell’albero morente e, mano a mano che scavano le gallerie dentro il tronco, favoriscono la propagazione delle spore dei funghi. Gli insetti preferiscono gli alberi già morenti o vecchi, perché è più facile perforare la corteccia e il legno. L’albero vecchio e debilitato spesso non è in grado di opporre resistenza alle larve, come gli alberi giovani che mettono in atto delle difese biochimiche, potenzialmente velenose per gli aggressori.

La Quercus Robur è una pianta medicinale utilizzata dalla medicina popolare per le infiammazioni intestinali. Questo esemplare in particolare è oggetto di uno studio epidemiologico da parte del Laboratorio di Micologia Medica, Dipartimento di Scienze Biomediche della Salute dell’Università degli Studi di Milano, interessato ad una specie fungina patogena chiamata Cryptococcus neoformans. Il fungo è un lievito microscopico che può causare infezioni nell'uomo, in particolare nei pazienti immuno compromessi. Si stanno studiando le modalità in cui può infettare l’uomo. Il fungo è presente nei buchi e nelle fessure del tronco, sulla corteccia, nel suolo e sulle formiche. Ciò rende quest'albero un ecosistema molto utile per capire come il fungo si propaga nell'ambiente. Non è però allo stato attuale pericoloso.

 

3 GYMNOCLADUS DIOICUS O L’ALBERO DEL CAFFE

 

 

Il Gymnocladus Dioicus o albero del caffè del Kentucky è originario appunto del Kentucky, stato federato degli Stati Uniti d’America. Si trova all'interno del Giardino all’inglese della settecentesca villa Belgiojoso Bonaparte, che ospita anche il GAM la Galleria d’Arte Moderna, vicino al Tempietto delle Parche e all’area giochi dei bambini. E’ l'albero, di questa specie, di dimensioni maggiori che si trova a Milano. Ha fiori maschili e femminili. Il suo nome botanico deriva dal greco Gymnos, nudo, e Klados, ramo, poiché germoglia tardivamente e perde le foglie, presentandosi nudo a metà dell’anno. L'età presunta è 150 anni. A suo tempo gli è stata tolta la maggior parte della chioma, perché era a rischio di cedimento. Sono stati realizzati dei sostegni in acciaio in grado di garantirne una maggiore stabilità. Il soprannome legato al caffe è dovuto ai suoi semi, che sono degli enormi baccelli dai quali, una volta tostati, si può ricavare una bevanda simile al caffè. A fine Ottocento i pionieri americani che colonizzarono il Nord Ovest usavano berne in abbondanza. Come mai un albero del Kentucky si trova in Italia? Le spedizioni di esploratori avevano un tempo sempre al seguito dei botanici che avevano il compito di individuare alberi in grado di fornire nuovi prodotti, sia a scopo commerciale (è il caso della gomma) che alimentare (la noce di cocco o la cannella). In questi caso venivano raccolti i semi e al ritorno iniziava una nuova produzione di piante. Ma c’è stata anche una colonizzazione all'incontrario. Per esempio, le arance sono state portate dal Regno delle Due Sicilie in California e nello stesso modo si sono diffusi oltre Oceano anche altri prodotti del Mediterraneo. Nello stesso modo nel Seicento si è diffusa in Europa la patata, più tardi si sono diffusi anche il mais, il pomodoro. L'albero del Kentucky era scelto soprattutto per scopi ornamentali, per questo motivo è presente in ogni giardino pubblico e orto botanico. La sua forma netta e la ramificazione contorta, la corteccia particolare e soprattutto i suoi decorativi baccelli lo hanno reso un ornamento invernale molto amato. I semi, ospitati nei grossi baccelli, mossi dal vento sbattono uno contro l'altro e fanno un suono molto caratteristico e gradevole.

Il Gymnocladus Dioicus è in grado di fornire anche un legno di ottima qualità. Può vivere molto più di 150 anni, a condizione che si trovi in una condizione ambientale ottimale, non dunque in città, dove gli spazi sono più ridotti e spesso si trova a ridosso di altri alberi con impossibilità di sviluppare liberamente la sua ampia chioma, che ha una forma a globo, con foglie lunghe e alternate. È alto 25 metri.

I suoi semi contengono un alcaloide potenzialmente pericoloso che si chiama citisina; se vengono tostati, possono essere usati per scopi alimentari oppure si possono mangiare come mandorle. Sembra anche ne sia stato ricavato un farmaco utile per smettere di fumare. In America se ne possono ammirare delle intere foreste.

Anche questa pianta è costantemente monitorata, perché a seguito di un temporale eccezionalmente violento ha subito la fenditura longitudinale del tronco. Proprio a causa della sua maestosità si è dovuto tagliare gran parte della chioma e provvedere al posizionamento di una struttura in acciaio, che è in grado di garantirne una maggiore sicurezza.

Ogni sei mesi, come la quercia di Montale, anche l'albero del Kentucky viene monitorato e sottoposto ad esami vari.

 

 

 

 

4   GINKGO BILOBA, L’ALBERO DEI DINOSAURI

 

 

Il Ginkgo Biloba è presente con numerosi esemplari sia all’ingresso di piazza Cavour, poco dopo la statua di Indro Montanelli, che verso i bastioni, propri davanti all’asilo. E’ un albero che vive sulla terra dal tempo dei dinosauri, la sua evoluzione è risultata talmente efficiente da non aver praticamente subito cambiamenti per milioni di anni. In tutto questo tempo, col susseguirsi delle ere geologiche, sulla terra e nei mari, si sono succedute centinaia di specie animali e vegetali che hanno colonizzato la terra anche per milioni di anni. Alcune di esse si sono evolute e adattate alla deriva dei continenti e alle glaciazioni altre, incapaci di farlo, si sono estinte. Era considerato in passato un fossile vivente, dunque una pianta estinta, fino a quando nel 1700 sono state scoperte delle piante vive. Il Ginkgo Biloba è un albero che ha, dunque, assistito all’estinzione dei Dinosauri e alla comparsa dell’uomo sulla terra.

Originario della Cina Orientale, prende il nome Ginkgo da un'erronea trascrizione del botanico tedesco Engelbert Kaempfer del nome giapponese,  derivante a sua volta da quello cinese, yin “argento” e xìng “albicocca”. Questo nome è stato attribuito alla specie dal famoso botanico Carlo Linneo nel 1771, all'atto della sua prima pubblicazione botanica, dove mantenne la trascrizione errata del nome originale. Il nome della specie (biloba) deriva invece dal latino bis e lobus con riferimento alla divisione in due lobi delle foglie, a forma di ventaglio. Una forma caratteristica e molto bella che in autunno da verde chiaro assume una colorazione di giallo talmente intenso che sembra avere catturato i raggi del sole. Le foglie nel loro tremolare spargono intorno raggi di luce in trasparenza.

La sua bellezza si preannuncia però con uno sgradevole e fortissimo odore quasi di burro rancido, dovuto ai suoi frutti. Nel mese di ottobre, quando la polpa dei suoi frutti sfatti, che sono molto abbondanti, cade a terra, crea oltre al cattivo odore anche un tappeto molto scivoloso. Si preferisce, dunque, piantare nei giardini solo l’albero maschile, per evitare i frutti e la loro caduta. Il Ginkgo Biloba è un albero dioico, cioè con fiori maschili e femminili, per cui esistono piante maschie e piante femmine. E’ un albero deciduo, cioè che perde le foglie. E’ ricco di flavonoidi, polifeneoli e terpeni che vengono usati nella preparazione di diversi farmaci. I Ginkgo non hanno veri e propri fiori, ma una specie di piccola pigna formata da squame. La fecondazione avviene grazie al vento che trasporta il polline da una pianta all’altra. Ma fruttificano solo le piante femmine. I semi, previa tostatura, possono anche essere mangiati; sono spesso usati nelle pietanze dei paesi asiatici.

 

I quattro alberi che sono vicino alla statua di Indro Montanelli hanno una età stimata un po’ superiore ai 100 anni. Hanno una altezza di 24 metri – per questo sono dei piccoli giganti – e una circonferenza di 236 centimetri, rilevati a 130 centimetri dal terreno, come si usa per convezione internazionale.

Il Ginkgo Biloba viene anche coltivato per scopi ornamentali e perché ha un buon legno che contiene principi attivi che sono diventati la base per la ricerca di farmaci per la cura di patologie cardiovascolari e neurologiche. Sembra, infatti, stia dando dei risultati promettenti per la cura di malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer.

I suoi semi contengono sostanze velenose, ma per fortuna termolabili e, dunque, da cotti diventano commestibili e fanno parte di alcuni piatti della cucina cinese, coreana e giapponese. E’ un albero molto resistente all’inquinamento, utile come tutti gli altri alberi all’abbattimento degli inquinanti presenti nelle città. Suoi esemplari si trovano sia negli orti botanici che nei giardini pubblici e persino nelle alberate stradali.

 

 

 

 

5 LA QUERCUS ROBUR O QUERCIA DEL FULMINE

 

 

La Quercus Ruber, detta quercia del fulmine, è alta 20 metri e ha una circonferenza di 380 centimetri, una età stimata di 180 anni. Anni fa è stata colpita da un fulmine che ha scolpito la corteccia dell’albero dalla cima sino al colletto, cioè la parte del tronco vicino al terreno. Accade alle piante più grandi di captare anche in città i fulmini più forti e di guidarli in veste di parafulmini attraverso le branche, facendo scaricare la loro potente carica elettrica sul terreno. La quercia in questione viene monitorata in modo continuativo e sottoposta a periodici interventi di riduzione della chioma. Il controllo è semestrale. Nonostante il passare del tempo e la continua lotta con gli elementi naturali, come il vento, che in questi anni ne ha spezzato la cima, la sua grande vitalità è testimoniata dalla buona cicatrizzazione della profonda ferita inferta dal fulmine. Purtroppo qualche vandalo ha pensato di appiccare del fuoco all’interno del tronco, ma l’intervento dei vigili del fuoco ha permesso di salvare l’antica magnolia.

Un albero di magnolia grandiflora, che si trova vicino alla grande fontana, circondato da una panchina rotonda, è stato danneggiato gravemente dall’azione del vento e colonizzato da funghi che hanno reso cavo il tronco. Ha circa 180 anni ed è probabilmente il primo albero della sua specie ad essere stato impiantato nei Giardini. La magnolia in questione è stata oggetto di varie discussioni se abbatterla o mantenerla in vita sino alla fine del suo ciclo vitale; si è ritenuto alla fine giusto salvarla dall’abbattimento in quanto rappresenta la storia del Parco ed è capace di trasmettere l’antichità del giardino e la sua storia.

Anche altri alberi antichi, non proprio belli a vedersi in quanto morenti o capitozzati, sono curati e tenuti in vita in quanto patrimonio storico e culturale del parco e della città. Una memoria importante per i cittadini, capace di sottolineare la bellezza e l’importanza del luogo, che in questo caso risale al Settecento e opera di un architetto neoclassico e celebre come Giuseppe Piermarini, che progettò anche il Teatro La Scala e rifece il bellissimo Palazzo di Brera, che ospita ancora oggi una delle maggiori Pinacoteche italiane.

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

Jacques Brosse Mitologia degli alberi Dal Giardino dell’Eden al legno della Croce Bur Rizzoli, Milano 1994

Jacques Brosse Storie e leggende degli alberi Edizioni Studio Tesi, Roma 1999

Jean Giono L’uomo che piantava gli alberi Salani Editore Milano 2008

Mario Rigoni Stern Arboreto Salvatico Einaudi, Torino 2006

Hermann Hesse Il canto degli alberi Guanda Milano 2001

Wolfgang Goethe “Urpflanze” La pianta originaria Alboversorio Milano 2014

 

 

 

 

 

 

 

BIOGRAFIE

 

 

Silvestro Acampora, arboricoltore del Comune di Milano dal 2005, socio fondatore della Sia, la Società Italiana di Arboricoltura, e ideatore del Programma di Adozione Alberi Monumentali. Socio fondatore dell’Associazione di Protezione Ambientale, realizzata dalla Fondazione Dohrn di Napoli, in memoria del biologo naturalista Anton Dohrn, dagli eredi Antonietta e Pietro Dohrn e da Sibilla Von Heften.

 

 

 

 

Isabella Clara Dovera, pittrice, laureatasi in Progetto e Cultura delle Nuove Tecnologie all’Accademia di Brera di Milano e presso l’Accademia Galli di Como in Pittura e Restauro pittorico, specializzata in Tecniche in comunicazione e stampa artistica. Tra i suo soggetti preferiti il corpo umano. Ha esposto al Kinderschutz-Zentrums di Berlino, alla Biffi Arte di Piacenza, a Spazio Sanpa di Milano e nel 2015 alla Contemporary Art Gallery, Galerie Khun & Partner di Berlino e alla Galerie Westend di Francoforte.

 

 

 

 

Paola Pastacaldi, giornalista, scrittrice e saggista. E’ titolare di un sito dedicato all’Africa Orientale e agli alberi che hanno visto la storia. Ha pubblicato il romanzo Khadija (peQuod, 2005), premio Città di Vigevano. E’ autrice con Bruno Rossi di Hitler è buono e vuole bene all’Italia (Longanesi), C’era tutt’altra volta (Guanda) e Vorrei essere trasmesso (Salani). Ha scritto e scrive saggi critici su giornalismo e comunicazione e tiene laboratori di educazione ai media nelle università e nelle scuole superiori (www.paolapastacaldi.it).