Intorno al tronco della quercia di Montale. Più erbe spontanee per diventare più ricchi di Biodiversità

di Paola Pastacaldi (foto di Giovanni Sabatini)

Se chiedessimo a bruciapelo ad un passante di dirci con parole sue che cosa sia la biodiversità pochi saprebbero dire cosa sia e, men che meno, dove sia. Parlando di città, molta biodiversità cresce spontaneamente proprio per strada, tra il cemento e le mattonelle: piccole, discrete erbe, fiori, fiorellini, muschi ed esili alberelli si fanno spazio negli interstizi della pietra. Il senso comune tende a vederle come una fastidiosa intromissione nella visione prefabbricata e falsa di un verde cittadino, molto stereotipato, sia giardino, aiuola o prato o albero. Queste umili pianticelle vengono giudicate in modo dispregiativo come erbacce da strappare.

Eppure quelle pianticelle che crescono in piccoli buchi, fessure, crepe, muretti sberciati, tubi o lungo i perimetri perfettamente delimitati dei prati brutta copia di quelli all’inglese, non sono altro che la forza che ha la natura di vivere sempre e comunque. Rappresentano la biodiversità, coraggiosa e determinata, anche nelle condizioni più stressanti. Sono loro che offrono all’essere umano, grazie a migliaia di altre specie, una garanzia gratuita per la sopravvivenza del nostro futuro biologico.

Un luogo cittadino ricco di biodiversità si trova nei giardini Montanelli, il primo parco pubblico di Milano. Lì si può vedere il tronco della quercia rossa di Montale, caduta in una notte di forte pioggia qualche anno fa, dopo quasi duecento anni di vita. Il tronco è rimasto nei giardini grazie ad una adozione privata: è recintato ed ogni passante può assistere giorno per giorno al meticoloso e lento lavoro di degradazione naturale del legno e della generosa donazione di tante sostanze nutrienti essenziali per l’ambiente circostante.

 

Il numero di specie erbacee, che non vogliamo fare l’errore di chiamare “erbacce” visto il loro ruolo nel contesto generale, che crescono in un ambiente fortemente antropizzato come i giardini urbani è di scarsa varietà. E, anche aumentando la superfice, si trovano sempre le stesse specie. Invece i pochi metri quadri dell’area del ceppo della quercia di Montale, con i suoi quasi duecento anni, sono molto più ricchi dell’ampio tappeto erboso esterno che la circonda.

 

“Lasciando il tronco dove era si è creato un punto di grande e vera biodiversità, un termine che ormai viene usato a sproposito o, peggio, in modo strumentale. La biodiversità consiste in una serie di organismi appartenenti a gruppi biologici diversi, come piante, animali, funghi, batteri e insetti che hanno stabilito tra loro una fitta relazione con uno scambio continuo (possiamo dire di energia) che in una coltura agraria o comunque gestita dall’uomo è ridottissimo e limitato. La quercia col suo legno permette la riaffermazione di un ecosistema di alta biodiversità, rispetto all’ambiente che la circonda”, così Enrico Banfi, ex direttore del Museo di Storia Naturale di Milano, spiega in modo chiarissimo il senso profondo della presenza del tronco della quercia nei giardini pubblici.

“Il bosco verticale, per intenderci, o la grande coltura di molti alberi non creano biodiversità, non sono un ecosistema. L’area della quercia, dove si è cercato di mettere mano o di tagliare il meno possibile, è un’area condotta in modo più naturale, e così è diventata il punto di partenza per consentire un aumento del numero di specie e lasciare che le specie stesse stabiliscano da sole rapporti naturali tra loro. Il risultato è che in pochi metri quadri, si trovano le stesse specie che si troverebbero solitamente in duecento e anche più metri quadri. L’agrobiodiversità non è un ecosistema. Mentre lasciando vivere le varie erbe e non tagliandole, si agevola un aumento di specie”.

Durante la primavera grazie al lavoro fotografico di Giovanni Sabatini, artista e architetto, ex docente di Brera è stata documentata da mesi la biodiversità della quercia. A luglio grazie alla gentile disponibilità di Gabriele Galasso, botanico del Museo di Storia Naturale, sono state catalogate dentro il recinto della quercia oltre trenta specie vegetali, un mix di erbe autoctone native italiane o di Milano, e di esotiche, portate dall’uomo nel corso dei secoli. L’incremento di queste negli ultimi decenni è stato molto superiore ai secoli scorsi, a causa dell’aumento del movimento sia commerciale che turistico.

“Le esotiche, naturalizzate in modo imprevisto, giungono da luoghi con climi simili all’Italia, dopo aver viaggiato in modi anche inusuali, come negli imballaggi o nelle scarpe o lungo i binari delle ferrovie. Tra le erbe osservate a luglio ricordiamo la Veronica persica, detta volgarmente occhi della Madonna - spiega Gabriele Galasso - presente in Europa da fine Ottocento. Oppure l’uva turca cioè la Phytolacca americana, che ne I Promessi Sposi conquistò la vigna di Renzo, durante la sua assenza da casa”. Manzoni era un appassionato studioso di botanica e buon conoscitore, anche grazie alla passione trasmessagli dalla madre Giulia Beccaria per le piante. Conosceva bene la fitolacca, perché cresceva nella sua villa di Brusuglio a Cormano.

“Altre piante popolari sono l’Amaranthus deflexus - spiega Galasso -, la verbena, il Geranium molle o geranio selvatico (quello nostrano; quello coltivato in realtà è un altro e appartiene al genere Pelargonium), le radichielle (Crepis capillaris, Crepis setosa e Hypochaeris radicata), anch’esse citate dal Manzoni, l’attaccavesti, il notissimo tarassaco, l’orzo selvatico, l’edera comune, la borsa del pastore (erbetta parente del rapanello con frutticini a forma di cuore, che ricordano le borse dei pastori), il Sonchus tenerrimus o crespino, erba usata in cucina, molto diffuso in area mediterranea, che fino a pochi decenni fa in Lombardia non era ancora presente, ma che grazie al riscaldamento globale è risalito sino alle nostre città.

“Senza l’intervento dell’uomo, lasciando crescere spontaneamente le erbe senza interferire, si formerebbe facilmente un bosco in città, anche attorno alla quercia”.

In epoca di transizione ecologica, crisi climatica e tutto quello che si legge ogni giorno intorno alla natura, viene da porsi una domanda. Ma possiamo ancora scegliere se continuare ad asfaltare, falciare, tagliare, diserbare spesso indiscriminatamente tutto o quasi quello che disturba i nostri piani oppure lasciare crescere questo ecosistema, anche senza ordine o meglio con un ordine diverso dal nostro?

 



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