Giardini Montanelli. La quercia di Montale, un altare di Biodiversità
di Francesco Maria Maccazzola, amministratore Floricoltura S. Donato – Grandi Trapianti e presidente 'Kepos - Libro Bianco del Verde Aps'
Penso alla Quercia di Montale nel Parco Montanelli di Milano e penso ad un albero senescente e al suo tronco come ad un essere vivente che mi riempie di storie.
Penso alla Quercia di Montale, collassata un giorno di pioggia milanese, e penso alla vita. Penso a come il suo tronco non sia morto ma a come esso sia un altare, un ricettacolo, un esempio palpabile di biodiversità, di vita e quindi di storie.
Penso alla Quercia di Montale in un Parco di Milano e al suo legno che sa di fungo. Il suo legno bisbiglia i suoni di una natura alacre, sempre in divenire. E adesso racconta, a chi ha voglia di sentire, una, cento storie con tutto il loro infinito divenire, con tutto il loro carico sapienziale che rende possibile il mio e il nostro esserci.
Noi, uomini evoluti del XXI secolo dell’era volgare abbiamo scordato la vita, i suoi profumi, i suoi suoni e le sue infinite e perpetue trasformazioni, il suo divenire che non è monetizzabile.
Ormai ignoranti ed imbarbariti, non riusciamo più a vedere come un albero, il suo legno, il suo divenire rendano possibile il nostro essere vivi. Usi a misurare tutto col metro dell’interesse economico, non abbiamo più la dimensione del vero valore. Censuriamo la morte e con essa l’ESSERE in tutte le sue forme. Immaginiamo la natura come un luogo pulito, sterile, stereotipato, fisso come il non essere, appunto. Cosa che è ben più triste del naturale morire.
Quante cose sanno raccontare gli alberi. Quanto può essere significativa e vitale la trasformazione naturale di un tronco che non è più solo la Quercia di Montale, ma è tanta vita nuova.
E quel tronco non è metafora ma è. E in quel tronco, che si vuole cancellare nel nome di una natura che è design, moda e non più semplicemente un essere vivente, non è presente forse un potente monito contro l’ignoranza di quello che non è vita?
Quell’albero è ben più di una metafora per coloro che si fermano nei giardini Montanelli a guardare la potente trasformazione della natura che avviene da sempre e qui e ora. E anche in noi.
Noi abbiamo un solo lascito, un solo appuntamento per non perdere noi stessi: quello con la Natura che non è nostra. Noi siamo Natura.
Questo tronco o questo pezzo di legno (a chi sa ascoltare) può raccontare molto più di tante parole, molto più di tante immagini stereotipate.
Il dramma, la sconfitta sta in questa ignorante mancanza di ascolto. Questa negazione del naturale e quindi del noi, questa contrapposizione tra l’ordine umano e l’ ordine naturale, la natura vista solo come infrastruttura umana, l’uomo ne determina la vita, e non si sente invece come una sua parte. Abbandonati alla nostra presunzione invochiamo pulizia: riteniamo che si debba buttare via tutto ciò che è vecchio, ciò che per noi, pur essendo pieno di vita, non è più vita.
Penso alla Quercia di Montale nel parco Montanelli di Milano, al suo legno e penso agli alberi, e penso ad un giovane poeta, che forse un poco rimpiango e ricordo le sue parole ormai lontane nel tempo: “Vi ho sempre amati, ho sempre amato gli alberi, ne ricordo di bellissimi”.