L’Africa non č nera di Paola Pastacaldi. Logiche letterarie e logiche storiche sul filo di una memoria coloniale. Commento di un musicista.
di Michele Sganga, pianista, Roma
Premessa
Questa vuole essere una stravagante recensione svolta a mo’ di analisi teorematica, in una premessa, due paragrafi e con conclusioni; datosi che il romanzo di Paola Pastacaldi – L'africa non è nera, Mursia 2015 – è a mio avviso scritto nella forma di una dimostrazione per assurdo.
Cercherò di spiegarmi meglio, concedendomi giusto una fulminea digressione solo per ricordare che un teorema, in matematica come in geometria, può anche essere dimostrato postulando in partenza il suo contrario. Vado subito a un caso specifico, che ci riporti sul tracciato pertinente.
Ad esempio, per testare la 'veridicità' dell'idea espressa nella frase 'L'Africa è nera', la si potrebbe trasformare nella proposizione opposta: 'L'Africa non è nera', ovvero nella negazione dell’idea di partenza. Attestando poi la 'falsità' di quest'ultima, avremo ottenuto ciò che si deve dimostrare, 'quod est demonstrandum'.
Ma ciò accadrà se, e solo se, nel corso dello svolgimento di una serie di derivazioni tutte prodotte a partire dall'assunto negato inizialmente, ci si ritroverà costretti ad accogliere come vere proposizioni evidentemente false. Di lì la logica conseguenza che la negazione di partenza è a sua volta da negare, in quanto falsa anch'essa.
È proprio l’approdo inevitabile a questa “doppia negazione” a fondare la dimostrazione della veridicità del teorema opposto. Dimostrazione in positivo, stavolta, ancorché raggiunta 'per assurdo' appunto, poiché due negazioni si sa, si annullano a vicenda. Si potrà quindi abbracciare più sicuri, senza troppi dubbi residui, il concetto originario: “L'Africa è nera'. QED.
Alla lettura delle pagine di Paola Pastacaldi, questo tipo di approccio produce effetti straordinariamente sintetici e illuminanti, in pochi semplici passaggi. Proviamo...
Paragrafo I
Se 'L'Africa non è nera' fosse stato un assunto vero fino in fondo, verificato nello e dallo svolgersi degli eventi storici – quelli promossi dall'epopea coloniale italiana in Eritrea ed Etiopia (nel nostro caso) –, allora il romanzo avrebbe avuto ben altre pagine conclusive. Questo perché se 'L'Africa non è nera' fosse stato un assunto vero fino in fondo, allora Pietro non avrebbe 'amato solo lei', come confessa nelle ultime due righe del romanzo, quasi con violenta rassegnazione.
Pietro è uno dei protagonisti, il meticcio che una volta per tutte crede di poter scegliere il proprio destino, ovvero l'appartenenza all'Africa nera' piuttosto che al “Bel Paese”, sentendo ribollire più forte nel suo sangue il temperamento eritreo. Tutto questo dunque, nonostante il padre e l'educazione italiana, e infine anche una moglie italiana sposata in Italia, che pure fanno di lui ciò che è.
E allora Pietro, all’ultimo rigo di una sola parola in conclusione del romanzo – dicevamo – non avrebbe amato solo “lei”, che altri non è che la sua mamma eritrea, ovvero l'Africa stessa.
È l’Africa a non concedere altri amori, ma solo enormi passioni; l’Africa colei che non lascia mai liberi fino in fondo, segnando il destino di chiunque per sempre (ma questo non varrebbe forse per ogni madre/patria in generale?); colei che non è solo una donna, una madre per tutta l’umanità, bensì anche un continente intero, gigantesco, l'Africa lontana che non ti abbandona più, anche se pensi di poterla o doverla abbandonare, dopo esserci nato o averci vissuto almeno un giorno. L'Africa che appunto, come la madre di Pietro (e Pietro stesso), è nera eccome. Eppure...
Paragrafo II
Se, in fondo al romanzo e in aperto contrasto col titolo in copertina, capiamo quindi che 'l'Africa è nera' – e lo era sempre stata – cosa rimane allora di ciò che si è letto, di ciò che hanno vissuto lì in Africa gli italiani delle colonie, quelli rimasti dopo la guerra come quelli che ci lavoravano da prima dell’avvento del fascismo?
Se solo alla fine capiamo che in realtà 'l'Africa è nera' eccome, allora che senso hanno avuto tutte quelle vicende personali struggenti, e commoventi-perché-vere?
Tanto più vere in quanto frutto dell'impegno giornalistico di una scrittrice, che non scrive solo un romanzo – tantomeno un 'romanzo storico' – bensì contemporaneamente a quest’ultimo ci propone una dimostrazione per assurdo: è proprio questo un modo di procedere nel costruire la storia, la trama del racconto, che ha molto a che fare con la Storia tout court, col tentativo di svelarne una ricostruzione di qualità e fedeltà palpabili, possibili; è così che la Storia può rivivere in noi con tutte le sue logiche interne, talvolta – così spesso! – contraddittorie al limite dell’inverosimile, però documentata e verificata non solo sul campo, ma sulla propria stessa pelle...
Lo scavo sofferente, in parte autobiografico dell’autrice, produce anche l’effetto tutto letterario del maggior coinvolgimento emotivo del lettore, induce un tipo di partecipazione che astutamente “incatena” il lettore al testo, allo scopo tuttavia di restituirci il 'quotidiano' di quegli eventi, con l’obiettivo sacrosanto di riportare in luce aspetti del passato, che altri modi di fare-Storia, spesso troppo razionali, o piuttosto troppo tecnici, non saprebbero mai fare (con grave danno per tutti).
Conclusioni
Che senso ha avuto dunque raccontare quelle storie dimenticate, dissolte nel tempo, e rimosse proprio perché frutto di un 'delirio”, il delirio colonialista italiano? Il fatto è che quelle “pagine di Storia” sono al contempo foriere di vita, di mescolanze e meticciati non solo genetici, ma soprattutto culturali e profondamente creativi, ancorché pagine così tragiche, violente, disumane.
Il senso è con ogni evidenza quello di indurre in tutti noi un risveglio della memoria, innanzitutto, quella collettiva e a un tempo personale di ciascuno (un terzo degli italiani ha almeno un parente collegato direttamente o molto da vicino alle vicende coloniali africane).
E il senso è anche un pungolo pressante ad aiutare Paola Pastacaldi nel suo recupero, nella sua particolarissima recherche du temps perdu, coerentemente declinata in guisa di investigazione universale, psicoanalitica. Il ritorno del rimosso conduce, o quantomeno avvicina alla verità storica, facendoci navigare e naufragare fra le pieghe labirintiche di ogni contraddizione apparente del passato, con coraggio e abnegazione, al di là e contro le paure e le “vergogne”, che di sicuro s'incontreranno. Non si potrà più tornare a ritrattare o a nascondere meglio di prima alcunché. Al contrario, si sentirà di poter vivere con maggiore completezza ciò che siamo ora, ovvero ciò che siamo diventati anche in virtù di quel passato affatto lontano. Eppure presente, quotidiano, ancora una volta vero.
Ed ecco che tutto cambia, che ogni certezza vacilla, mentre un nuovo teorema, inaspettato, si affaccia al capoverso ipotetico di un romanzo che ancora non c’è, a chiederci anche lui di esser dimostrato: 'L'Italia è nera'?
Forse è già tempo di rileggerlo, il romanzo di Paola Pastacaldi, di nuovo da capo. Poiché tutto acquisterà un senso più forte, tutto cambierà. E questo è l'impegno implicito richiesto al lettore che ancora non ha preso a leggerlo.
Forse sì, la dimostrazione per assurdo non ha 'funzionato' – o magari non doveva funzionare... Ciò non vuol dire che nell''altrove' di infinite, potenziali letture di secondo grado, sotto la costellazione di altre derivazioni, di altre ricerche e – perché no? – di altri romanzi, oppure al calore e all'attenzione appassionata di logiche più profonde emotive telluriche, o semplicemente alla luce di altri sguardi sulla stessa Storia, non si possa invece scoprire e dimostrare, non più per assurdo, ma per davvero, che 'l'Africa non è (soltanto) nera'.