Il suolo e le sue relazioni misteriose: cosa sono le micorrize degli alberi a Milano.

di Francesco Maccazzola

La micorriza è l’associazione simbiontica tra i funghi e le radici delle piante superiori. Il nome, come quasi tutti i nomi che usiamo ogni giorno, ha origine greca e deriva da mikos – fungo e rhiza- radice. Le micorrize sono, come la maggior parte delle meraviglie della natura, a noi essenzialmente sconosciute o molto poco conosciute e si dividono prima di tutto in due grandi gruppi: ecto ed endomicorrize. L’ectomicorriza è più semplice da vedere perché è riconoscibile anche ad occhio nudo senza l’utilizzo di un microscopio, si presenta con dei tratti molto tipici sulle radici fini degli alberi “infettati”. Un’ectomicorriza nasce con il contatto tra le ife e gli apici radicali intorno ai quali si sviluppa un “manto” fatto dal fungo. Naturalmente avviene una penetrazione da parte del micelio nel tessuto degli apici radicali. L’endomicorriza che, è ospite di oltre l’ottanta per cento delle piante terrestri, è invece più discreta, penetra nelle cellule delle radici ed è invisibile ad occhio nudo. Ma, quali sono i vantaggi che gli alberi prendono da questo rapporto mutualistico?

Possiamo rapidamente riassumerli in: miglior ricezione dell‘acqua e delle sostanze nutritive, miglior tolleranza alla siccità e all’umidità, maggiore resistenza alle malattie e una maggiore produzione di biomassa e questo non è poco se pensiamo agli alberi “da marciapiede”, imbrigliati nella confusionaria visione antropocentrica che da sempre hanno avuto e hanno le nostre città.

Gli habitat urbani rispetto a quelli dei boschi presentano innumerevoli svantaggi per gli alberi che si possono grossolanamente riassumere in: clima sfavorevole a causa del forte calore, precipitazioni scarse su superfici che non consentono il naturale corso delle acque, problemi legati all’ irradiazione. Ci sono poi grandi svantaggi pedologici dati dalla povertà dei terreni, da pH non naturali, dal limitato spazio radicale e il mancante strato di humus. Altra situazione di carenza è che gli alberi allevati in vivaio solitamente hanno solo una o poche micorrize che hanno colonizzato lo stesso adeguandosi alle lavorazioni tipiche della coltura di formazione delle giovani piante. Inoltre l‘ubicazione in città, spesso isolata impedisce lo scambi trai diversi tipi di funghi. Nei boschi e nelle foreste invece è molto semplice trovare più di venti tipi – ceppi - di micorriza favoriti dagli scambi tra le radici e il loro intrecciarsi. Funghi, radici, micorrize, nei boschi sono tutto un mistero di incontri, di appuntamenti, di scambio di informazioni chimiche e di vita.

Negli anni quello che abbiamo provato a fare è stato ricercare, selezionare dei ceppi specie specifici e autoctoni di

La micorriza è l’associazione simbiontica tra i funghi e le radici delle piante superiori. Il nome, come quasi tutti i nomi che usiamo ogni giorno, ha origine greca e deriva da mikos – fungo e rhiza- radice. Le micorrize sono, come la maggior parte delle meraviglie della natura, a noi essenzialmente sconosciute o molto poco conosciute e si dividono prima di tutto in due grandi gruppi: ecto ed endomicorrize. L’ectomicorriza è più semplice da vedere perché è riconoscibile anche ad occhio nudo senza l’utilizzo di un microscopio, si presenta con dei tratti molto tipici sulle radici fini degli alberi “infettati”. Un’ectomicorriza nasce con il contatto tra le ife e gli apici radicali intorno ai quali si sviluppa un “manto” fatto dal fungo. Naturalmente avviene una penetrazione da parte del micelio nel tessuto degli apici radicali. L’endomicorriza che, è ospite di oltre l’ottanta per cento delle piante terrestri, è invece più discreta, penetra nelle cellule delle radici ed è invisibile ad occhio nudo. Ma, quali sono i vantaggi che gli alberi prendono da questo rapporto mutualistico?

Possiamo rapidamente riassumerli in: miglior ricezione dell‘acqua e delle sostanze nutritive, miglior tolleranza alla siccità e all’umidità, maggiore resistenza alle malattie e una maggiore produzione di biomassa e questo non è poco se pensiamo agli alberi “da marciapiede”, imbrigliati nella confusionaria visione antropocentrica che da sempre hanno avuto e hanno le nostre città.

Gli habitat urbani rispetto a quelli dei boschi presentano innumerevoli svantaggi per gli alberi che si possono grossolanamente riassumere in: clima sfavorevole a causa del forte calore, precipitazioni scarse su superfici che non consentono il naturale corso delle acque, problemi legati all’ irradiazione. Ci sono poi grandi svantaggi pedologici dati dalla povertà dei terreni, da pH non naturali, dal limitato spazio radicale e il mancante strato di humus. Altra situazione di carenza è che gli alberi allevati in vivaio solitamente hanno solo una o poche micorrize che hanno colonizzato lo stesso adeguandosi alle lavorazioni tipiche della coltura di formazione delle giovani piante. Inoltre l‘ubicazione in città, spesso isolata impedisce lo scambi trai diversi tipi di funghi. Nei boschi e nelle foreste invece è molto semplice trovare più di venti tipi – ceppi - di micorriza favoriti dagli scambi tra le radici e il loro intrecciarsi. Funghi, radici, micorrize, nei boschi sono tutto un mistero di incontri, di appuntamenti, di scambio di informazioni chimiche e di vita.

Negli anni quello che abbiamo provato a fare è stato ricercare, selezionare dei ceppi specie specifici e autoctoni di micorrize che potessero entrare in unione con le radici degli alberi appena messi a dimora o anche in difficoltà nella povertà dei nostri terreni. La cosa in molti casi ha dato risultati ottimi che, tra le altre, l’università di Firenze ha certificato sia in ambiente urbano sia per alcuni usi in agricoltura in particolare per l’olivicoltura nel Parco del Cilento.

Infondo trovare le micorrize giuste significa creare un rapporto simbiontico naturale capace di vivere per tutto il tempo della vita dell’albero inoculato e forse anche di più. La cosa affascinante di tutto questo è forse un nuovo punto di vista che non è più quello della mera manutenzione: l’albero ha bisogno di concime e il giardiniere gli dà il prodotto chimicamente sintetizzato ma, invece, riconoscere che la natura nella sua sottile grandiosità ha già pensato a tutto e che la Vita se lasciata esprimere è ben superiore delle nostre umane e limitate visioni di essa.

Forse pensare alle micorrize, imparare a pensare al suolo e a tutte le sue miracolose e misteriose relazioni è una parte del rendersi conto: ad un passo dell’abisso del cambiamento climatico che ci si prospetta - questa passata non è stata solo l’estate più calda degli ultimi cinquant’anni ma, forse è niente di più e niente di meno, dell’estate più fresca delle prossime cinquanta estati - che nulla è più urgente di un forte ritorno alle radici, di un forte ritorno allo studio e alla salvaguardia di quei valori così pratici, così profondi, così misteriosi che la Natura ha in sé.

Forse imparare ad usare le micorrize così invisibili ed impalpabili per gente come noi abituata solo a riconoscere quello che appare è il riaffermare che nel silenzio della terra esistono risposte così concrete e cariche di valori reali, cariche di vita. Probabilmente nella metafora delle micorrize c’è una parte dell’aporia del rapporto che abbiamo noi esseri umani con gli alberi e con la Natura in genere. Aporia appunto, una difficoltà che pare non avere una soluzione che pare essere ineliminabile. E, forse, l’uso delle micorrize è una delle tante metafore delle soluzioni che la Natura ci offre, superando il nostro ingegno e la nostra presunzione.

micorrize che potessero entrare in unione con le radici degli alberi appena messi a dimora o anche in difficoltà nella povertà dei nostri terreni. La cosa in molti casi ha dato risultati ottimi che, tra le altre, l’università di Firenze ha certificato sia in ambiente urbano sia per alcuni usi in agricoltura in particolare per l’olivicoltura nel Parco del Cilento.

Infondo trovare le micorrize giuste significa creare un rapporto simbiontico naturale capace di vivere per tutto il tempo della vita dell’albero inoculato e forse anche di più. La cosa affascinante di tutto questo è forse un nuovo punto di vista che non è più quello della mera manutenzione: l’albero ha bisogno di concime e il giardiniere gli dà il prodotto chimicamente sintetizzato ma, invece, riconoscere che la natura nella sua sottile grandiosità ha già pensato a tutto e che la Vita se lasciata esprimere è ben superiore delle nostre umane e limitate visioni di essa.

Forse pensare alle micorrize, imparare a pensare al suolo e a tutte le sue miracolose e misteriose relazioni è una parte del rendersi conto: ad un passo dell’abisso del cambiamento climatico che ci si prospetta - questa passata non è stata solo l’estate più calda degli ultimi cinquant’anni ma, forse è niente di più e niente di meno, dell’estate più fresca delle prossime cinquanta estati - che nulla è più urgente di un forte ritorno alle radici, di un forte ritorno allo studio e alla salvaguardia di quei valori così pratici, così profondi, così misteriosi che la Natura ha in sé.

Forse imparare ad usare le micorrize così invisibili ed impalpabili per gente come noi abituata solo a riconoscere quello che appare è il riaffermare che nel silenzio della terra esistono risposte così concrete e cariche di valori reali, cariche di vita. Probabilmente nella metafora delle micorrize c’è una parte dell’aporia del rapporto che abbiamo noi esseri umani con gli alberi e con la Natura in genere. Aporia appunto, una difficoltà che pare non avere una soluzione che pare essere ineliminabile. E, forse, l’uso delle micorrize è una delle tante metafore delle soluzioni che la Natura ci offre, superando il nostro ingegno e la nostra presunzione.

* Francesco Maccazzola. Responsabile del Comitato Tecnico Scientifico del Libro Bianco. Presidente di Floricoltura San Donato Milanese – Grandi Trapianti .



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