Migrante dal Burkina all’Italia: prima maestro poi disoccupato infine umanitario CERCASI MACCHINARI PER PRODURRE IL PANE IN BURKINA FASO IN GRANDE QUANTITA’

di Paola Pastacaldi giornalista e scrittrice

Salifo Zare, 52 anni ben portati, cinque figli e una moglie. Originario del Burkina Faso, il paese di Thomas Sankara, il Che Guevara africano ucciso 29 anni fa per le sue idee democratiche e il suo sogno di un riscatto civile del suo paese. Salifo, premio Civilitas Conegliano 2013, alla sua XIX Edizione, nella sezione Civiltà nella Comunità, ha una storia un po’ diversa da quella degli altri migranti recenti dove le parole fame e guerra e Isis tornano ossessive e spaventose.

Salifo maestro elementare nel suo paese e poi metalmeccanico qui a Treviso con la vocazione alla mediazione culturale, emigrato per migliorare il suo futuro lavorativo, (tra le molte cose che ha fatto anche collaboratore de La Tribuna) finisce disoccupato e allora anziché piangersi addosso si mette a raccogliere beni per i suoi connazionali più poveri rimasti in Burkina, si mette a lavorare nella solidarietà e alla fine si è inventato persino un lavoro, uno sbocco per il futuro che funziona e lascia sorpresi per la creatività che ci ha messo, certamente combinata con una dose di cultura e intelligenza che gli hanno fatto scoprire che la solidarietà ad un certo punto va “assassinata” - come dice lui -, ripetendo le parole di Sankara. Altrimenti la carità, come sanno i professionisti degli aiuti, uccide te, invece che salvarti.

Come va in Italia, Salifo?

“Benissimo sono contento. I primi anni è stata dura Ho fatto molta lotta per i documenti e per la casa dal 2001 al 2007. Ora sto bene”.

E la disoccupazione?

“Il non ho bisogno di cercare un altro lavoro. Mi sto muovendo nel volontariato, raccogliendo materiale che mando a chi ha bisogno nel mio Paese con l’Associazione che ho creato di Educatori africani senza frontiere Burkina Faso - Italia” nata nel 2010. Ogni due o tre mesi mandiamo un container in Burkina e dentro, oltre al materiale donato, metto un paio di auto. Nel Burkina la gente ha tanto bisogno di macchine. Io le prendo qui a poco e le rivendo. La maggior parte delle cose che mando sono regalate, altre se servono le compero i soldi che guadagno e che sempre reinvesto. Ho creato una rete di rapporti con molte associazioni qui a Treviso, dalla Cisl, al Centro Servizi Volontariato all’Ucipem. Tutto è cominciato con la Fondazione Zanetti cui avevo chiesto aiuto e che avevano deciso di pagarmi i container con 11 mila euro, poi 8, poi sei, sai la crisi. Io andavo sempre in Burkina per seguire la distribuzione dei materiali e così mi sono ricordato un giorno di quello che diceva Sankara, che avevo conosciuto quando ero un maestro nel 1984-87, lui diceva sempre che l’aiuto deve contribuire ad assassinare l’aiuto”.

A queste parole faccio un balzo sulla sedia? Che vuol dire chiedo?

“Che uno dopo deve camminare con le sue gambe. Se la Fondazione Zanetti mi ha aiutato per ben tre volte, ho capito che dopo dovevo farcela da solo. Così ho detto loro che per il materiale mi arrangiavo ma che desideravo costruire una scuola. Così ho scoperto come autofinanziarmi. Quando arrivo in Burkina, faccio una grande festa prima della distribuzione, ma sempre con l’aiuto dei presidenti di circoscrizione, dei sindaci, dei maestri. Mettiamo insieme varie scuole, in una unica Associazione che si chiama “Educatori africani senza frontiere”. Loro mi aspettano quando arrivo perché c’è sempre una festa prima di distribuire il contenuto dei container, io offro da mangiare a tutti. Come faccio? Faccio qui in Italia una raccolta di fondi; cucino dei piatti tipici del mio paese per i trevigiani e con i 200 euro che raccolgo riesco a fare questa festa in Burkina in cui offro dei piati semplici di riso e olio e qualcos’altro. Per questa festa in Italia mi ospita don Aldo a Ponzano. Ma mi appoggio anche ad altre associazioni come Mani Tese o Suoni dal Mondo. Ora ho un’altra idea speciale su cui sto lavorando. A Garango, (Dipartimento del Centro est del Burkina, ndr) c’è una associazione di donne riconosciuta dallo Stato; vorrei procurare loro una macchina per fare il panificio, sono in contatto con la Cgil, vorrei impiantare questo grande panificio nella capitale così che daremo pane a tanti. Anche molti ragazzi sfortunati che sono su una sedia a rotelle perché hanno perso l’uso delle gambe e non fanno nulla e tutto il giorno chiedono la carità potrebbero lavorare, fare il pane e guadagnarsi da vivere recuperando la dignità.

Quello che con questo articolo non riuscirò mai a trasmettere con la parola scritta è la capacità comunicativa di Salifo Zare, sentito dal vivo, il suo raccontare è da narratore della grande tradizione orale dell’Africa antica. Provo a spiegarmi: quando parla è incisivo, ha la forza di dire parole in cui crede e si percepisce come verità forte e sofferta. Ha la capacità di riuscire a spiegare come sono nate certe sue decisioni, facendone una lezione di vita ma sempre con quella umiltà che contraddistingue le esperienze vere di vita, collegandole ad una riflessione filosofica e sociale che proviene dal sapere più saggio e antico. Essendo di formazione maestro, sa dare alle sue parole un connotato filosofico molto moderno.

Ascoltandolo si ha la possibilità di percepire in pieno la differenza tra la nostra dimensione, tra ciò che abbiamo qui in Europa, il benessere, le possibilità, la libertà, tutte le piccole e grandi cose di cui usufruiamo, ormai inconsapevoli e forse anche un tantino annoiati, e quella di chi in Africa, molto spesso, non ha nulla, nulla di nulla.

Dopo averlo ascoltato, si torna a casa più felici di ciò che si ha, perché più consapevoli del valore delle cose. Di cui a volte ci dimentichiamo crogiolandoci in una tristezza che si fa malattia.

Mi sento di scrivere: Buona Fortuna Salifo Zare per il tuo panificio.