di Anna Teodorani

'Cara Paola ho appena finito di leggere il bel libro sull'Eritrea. Ho condiviso tutte le vicende dei nostri amati e poveri coloniali'. Intervento di Anna Teodorani, Roma


Cara Paola, ho appena finito di leggere il bel libro sulla nostra  Eritrea. Naturalmente ho condiviso tutte le vicende dei nostri amati e poveri “coloniali”. Pensavano di aver trovato la tranquillità e l’agiatezza che l’Italia metropolitana non aveva saputo offrire…e invece hanno dovuto subire angherie di ogni genere, anche a guerra finita. Come promesso, invio la piccola chiacchierata che ho tenuto al circolo REX al ritorno dal viaggio indimenticabile. Mi ha fatto molto piacere fare la sua conoscenza e mi auguro di rivederla.

Mi creda  Anna Teodorani

Roma, 16 settembre 2015 La Conversazione è stata tenuta al circolo REX in Roma il 4 marzo 2012

'I ringraziamenti consueti e dovuti al circolo REX che mi consente ancora una volta di affrontare un argomento un po’ insolito.

Anzitutto perché “Ritorno in Eritrea”? Ritorno perché all’età di un anno sono stata per qualche tempo in quel paese, allora colonia italiana, anzi “colonia primigenia” come si diceva all’epoca. Mio padre era giornalista e direttore del Corriere Eritreo, quotidiano italiano locale. Purtroppo, o per fortuna, il nostro soggiorno fu molto breve, circa sei mesi, perché i miei genitori, causa un grave incidente automobilistico, sono dovuti rientrare precipitosamente in Italia proprio alla vigilia dell’entrata in guerra del nostro paese.

In casa, negli anni seguenti ho sempre sentito parlare di quest’ Africa Orientale, paese favoloso nel quale i miei sostenevano di aver trascorso il periodo più felice della loro vita. Ricordavano i fedeli servitori, Araia e Negasi, che avevano pianto alla loro partenza, il leone Camillo che papà, animalista ante litteram, aveva voluto acquistare cucciolo e che mangiava non so quanta carne al giorno e una volta alla settimana una frittata di venti uova! Se fossimo rimasti papà aveva anche progettato di acquistare un elefantino che sarebbe dovuto arrivare da Colombo a Ceylon, ma chi doveva occuparsi della cosa equivocò e scambiò la “città di Colombo” per Genova rispondendo che non aveva mai saputo che a Genova si vendessero elefanti! L’incidente e soprattutto la guerra hanno posto fine a quel periodo beato.

Quindi, capirete che quando ho letto nella rivista delle Guardie d’Onore che era previsto un viaggio in Eritrea mi sono subito entusiasmata, mi sono iscritta,e, dopo qualche ostacolo, sono partita con una compagnia molto simpatica composta in massima parte di alpini, ma anche di forestali, di storici dell’ANRRA e di qualche signora (poche).

Dico subito che in quel paese bisogna abbandonare qualsiasi idea “turistica”. Non sono attrezzati e, forse per fortuna, non lo saranno ancora per molti anni. L’attrezzatura alberghiera è piuttosto primitiva e, anche dove sono fatti sforzi per mettersi al livello di altri paesi, per esempio al Kenia, poi come spesso succede in Africa, tutto si guasta, invecchia. Quindi bagni,aria condizionata,ecc. che non funzionano nonostante la buona volontà del personale locale. Ciò non toglie che l’Eritrea presenti aspetti di enorme interesse dal punto di vista naturalistico, architettonico, patriottico. Un viaggio può essere di grande soddisfazione, ma solo per chi sia mosso da motivazioni “alte” e non per andare al mare…..

 

Riassumo in due parole le vicende dell’Eritrea: passata nel 1941 sotto l’amministrazione britannica, divenuta poi la quattordicesima provincia dell’Etiopia, era quindi scomparsa dalla mappa dell’Africa. In una guerra trentennale contro l’Etiopia una piccola forza di guerriglieri (40mila uomini al massimo), è riuscita a contrastare la potenza di un paese dieci volte più grande appoggiato da due superpotenze e dotato di tutti i più sofisticati armamenti del XX secolo. L’indipendenza è stata riconquistata nel 1993; altri scontri si sono avuti nel 1998 per questioni di confini, ma dal 2001 l’ONU garantisce il cessate il fuoco.

 

Avevo già saputo da persone, colleghi e amici che c’erano stati dopo la fine della guerra con l’Etiopia che Asmara era una città bellissima, rimasta come l’avevano costruita gli italiani: come una città di fondazione degli anni ’30. In effetti, la guerra ha fatto molti guasti, ancora visibili, a Massaua, pesantemente bombardata in quanto all’Etiopia interessava il mare, mentre Asmara, che si erge su un altipiano a 2400 metri è stata rispettata. La scelta di Asmara quale capitale fu dovuta al governatore Martini negli ultimi anni del secolo XIX, in quanto si tratta di località piacevole da abitare e senza traccia di malaria. In seguito e, per fortuna, data la mancanza di fondi, non sono stati fatti guasti edilizi e la città si presenta ancora con una veste che non esiterei a definire affascinante. Ville, bellissime, come villa Roma residenza del nostro ambasciatore, giardini, con flora straordinaria, la strada principale, già viale Mussolini, con il teatro dell’Opera, dell’ingegner Cavagnari (oggi cinema), la casa del Fascio (oggi ministero), l’officina Tagliero, il cinema Impero, le grandiose cattedrali cattolica e copta , la mosceha. Nella cattedrale cattolica costruita in stile romanico lombardo dall’architetto Scanavini sono state ricollocate le lapidi (dico ricollocate perchè mi sono sembrate spezzate e ricomposte) che ricordano i donatori (il Duca d’Aosta, il Duce, ecc.). Esiste anche un quadro del Maratta, una Madonna Assunta in cielo, donato alla cattedrale da Vittorio Emanuele III, che non so perché è stato relegato dietro l’altare maggiore, l’altare tradizionale, non la tavola post concilio. Ne ho accennato al nostro ambasciatore chiedendo il perché di questo “esilio”, fra l’altro senza nemmeno una targa che ricordasse il donatore; l’ambasciatore mi ha detto che non ne sapeva niente e che ne avrebbe parlato con il vescovo.

Molto interessante è stata anche la visita alla sinagoga, piccola e che mi ha dato l’impressione di stare un po’ nascosta. La persona gentilissima che la gestisce ci ha raccontato che la sua famiglia si è stabilita ad Asmara alla fine dell’800 provenendo da Aden in quanto avevano saputo che la colonia eritrea stava diventando un interessante luogo per commerci e, soprattutto, che il governo italiano dava gratis il terreno per costruire gli edifici religiosi.

 Massaua, città del tutto diversa, città araba, porta ancora le ferite della guerra: tra gli edifici di tipo italiano, ancora gravemente danneggiati dall’aviazione di Menghistu, ho notato la sede della Banca d’Italia e l’hotel Savoia, ambedue imponenti. In questa città, a maggioranza mussulmana, abbiamo visitato una scuola di tipo professionale nella quale studiano 2000 ragazzi eritrei, maschi e femmine, in classi miste, ed ho notato che alcune ragazze, evidentemente mussulmane hanno il capo coperto, ma siedono tranquillamente tutti insieme. La scuola è diretta da un sacerdote, certo padre Protasio, e mi ha fatto molta impressione. Colgo l’occasione per dire che in Eritrea la condizione delle donne,dal punto di vista ufficiale, è del tutto parificata a quella degli uomini dato che le donne hanno combattuto fianco a fianco con gli uomini durante la guerra. Certo nelle campagne la situazione può essere ancora diversa e tradizionale.

I residenti nelle regioni eritree superano attualmente i tre milioni e mezzo, dei quali oltre la metà è dislocata sull’altipiano. Le attività produttive sono naturalmente collegate all’habitat: pesca e saline lungo la fascia costiera, pastorizia ed agricoltura rappresentata dai farinacei, base dell’alimentazione, sull’altipiano.

Da Massaua si possono, in teoria raggiungere le isole Dahlac, un arcipelago del Mar Rosso, poco abitato; ho detto in teoria perché la nave non è quasi mai disponibile, con motobarche si raggiunge solo una specie di lingua di terra disabitata, dove è bello fare il bagno. Ma non consiglierei a nessuno questa gita in quanto al ritorno il mare grosso, sembra che questo avvenga regolarmente, ci ha fatto prendere un po’ di paura. E pensate che perfino uno degli alpini ha avuto un attacco di panico. Io mi sono limitata a pregare e a suggerire di cantare l’inno dei sommergibilisti, ma nessuno mi dava retta!

 Durante il percorso tra Massaua e Asmara abbiamo cominciato il vero e proprio pellegrinaggio ai luoghi che sono stati lo scopo principale del viaggio: la visita cioè e l’omaggio ai cimiteri di guerra italiani ed eritrei e a quello inglese di Cheren. Anzitutto,il cimitero militare e civile di Massaua, poi Dogali con una bella stele che ricorda i caduti; poi Adi Quala, a pochi chilometri dal confine con l’Etiopia, il luogo cioè più vicino a quello della storica sconfitta di Adua del 1896 che portò alla caduta del governo Crispi e al momentaneo accantonamento delle aspirazioni coloniali della piccola Italia. Per finire con il cimitero di Asmara, militare e civile. Dico incidentalmente che ho trovato tutti questi luoghi tenuti perfettamente, a differenza di quanto avviene in Italia, dove mi dicono che il Sacrario di Redipuglia è in condizioni vergognose; le lapidi e i monumenti originali sono rimasti al loro posto, e siamo stati accolti sempre dalle nostre autorità diplomatiche e militari e, in qualche posto, anche dal sindaco del paese. A Cheren, dove si è combattuta una delle battaglie decisive della guerra in Africa,ultimo luogo nel quale gli italiani si sono difesi disperatamente, facilitati dal fatto che la città sorge su un vero e proprio cocuzzolo circondata da una cerchia di montagne rocciose alte fino a 1700 metri, e che le truppe inglesi penarono molto, 56 giorni, per scalarlo ed entrare in città. Aggiungo che eroe della battaglia di Cheren è stato il colonnello Lorenzini, medaglia d’oro, comandante di due battaglioni di ascari eritrei, promosso generale di brigata sul campo al quale, proprio durante il nostro soggiorno, è stata scoperta una lapide a Villa Roma, residenza dell’ambasciatore. E aggiungo che l’onore di scoprire la lapide è stato dato a me. Con la morte del generale Lorenzini, caduto “con il suo cappello da alpino in testa” la resistenza epica degli italiani ebbe fine e la posizione venne abbandonata. Ricordo che sulla pietra del sacrario del cimitero di Cheren è stata incisa recentemente la dichiarazione di Amedeo Guillet: “Gli Eritrei furono splendidi e tutto quel che potremo fare per l’Eritrea non sarà mai quanto l’Eritrea ha fatto per noi.”

Sempre a Cheren, nonostante sia zona in prevalenza mussulmana, è molto venerata la “Madonna del baobab” cioè una cappellina dedicata alla Madonna inserita nel tronco di un baobab gigantesco dove durante la guerra si sono rifugiati e salvati, protetti dalla popolazione locale, alcuni soldati italiani. E lungo la strada tra Asmara e Cheren abbiamo visitato la chiesa di Santa Rita dove una lapide ricorda i prigionieri italiani periti nel naufragio del “Nova Scotia”. Questo per far comprendere quanto il ricordo degli italiani sia ancora vivo e rispettato.

 A questo proposito non posso non citare quelle che mi sono sembrate le infrastrutture, i segni più importanti degli anni della dominazione italiana. La ferrovia e la carrozzabile Asmara-Massaua. Premetto che il dislivello fra le due località è di 2400 metri. La storica ferrovia, lunga 350 Km., costruita nel 1911 e ripristinata dal governo eritreo dopo la guerra con l’Etiopia, è servita da una motrice Ansaldo del 1938: è un capolavoro di ingegneria civile con 30 gallerie e 65 ponti certo è ormai solo una attrazione turistica perché il traffico si svolge tutto sulla strada, che risale sempre agli anni italiani,cioè al 1934 vigilia della campagna etiopica; fu possibile allora far giungere rifornimenti alle truppe che si addentravano nel territorio abissino; su uno dei ponti in cemento armato, del tutto uguale a quelli che si incontrano ancora in Italia sulle strade nazionali, si leggono le parole del motto dei cavalleggeri Aosta:” ca custa lon ca custa”. Si tratta di una strada che tocca panorami bellissimi come la foresta pluviale di Fil Fil. Ho poi scoperto che gli italiani avevano anche installato una funivia che trasportava le merci da Asmara a Massaua, sempre coprendo i 2400 metri di dislivello: gli inglesi l’hanno apprezzata tanto da smontarla e trasferirla in India.

 Come si vive in Eritrea oggi? Tutti me lo hanno chiesto. Da quanto ho visto e cercato di capire mi è sembrato che nelle città non si viva male, i numerosissimi emigrati aiutano con le rimesse, nelle campagne la vita è invece ancora primitiva, si campa, come ho già accennato, di agricoltura di sussistenza e di allevamento del bestiame. I giovani studiano ed aspirano ad andarsene, ma questo mi sembra un fenomeno mondiale; il governo, che gli italiani che ancora risiedono ad Asmara considerano comunista, non mi è sembrato tale: mi è sembrato certamente una dittatura di tipo nazionalista (esiste un solo giornale, le libertà civili non sono rispettate, dicono che la polizia sia potentissima non aliena da incarcerare e torturare gli oppositori), la coscrizione è obbligatoria e può durare anni, ma questo si dice sempre di quel genere di governi, salvo poi pentirsi e rimpiangerli dopo quando vengono fatti fuori. Il fattore che distingue gli eritrei da altri popoli è senza meno il fatto di essere in buona parte cristiani da sempre: quindi attivi, fieri e generosi, oltrechè bellissimi, soprattutto le donne.

 La guida moderna “Lonely Planet” dice che gli Eritrei dimostrano una gran gioia di vivere dovuta forse alle abitudini italiane, e questo non può che farci piacere.

 A proposito degli italiani ancora residenti, abbiamo visitato ,oltre ai religiosi ammirevoli che si occupano della popolazione locale, ma mantengono vivo il ricordo degli anni italiani, una ditta del settore tessile e dell’abbigliamento che occupa 500 dipendenti in gran parte donne impiegate nella confezione per grandi firme, tipo Armani. I proprietari, bergamaschi, ci hanno accolto con grande affetto e hanno illustrato la loro politica aziendale. Grande attenzione viene data al personale, mensa, asilo nido,ecc., hanno qualche problema per quanto riguarda il macchinario che debbono acquistare di seconda mano in genere nei paesi dell’Est europeo, in quanto le attuali macchine del comparto tessile risulterebbero troppo sofisticate per venire usate dai locali.

 Un’ultima considerazione e una scoperta che per me è stata fonte di grandissima commozione: un religioso italiano gestisce una biblioteca aperta a studenti di tutte le età e dove funziona anche una specie di doposcuola di appoggio ai genitori che vi lasciano i bambini a fare i compiti. Allora, aggirandomi e guardando gli scaffali ho visto conservata molta letteratura italiana degli anni ’30 e ’40; poi ho scoperto che vi erano anche le annate del Corriere Eritreo diretto da mio padre: con l’aiuto degli alpini, tutti muniti di telefonino, ho potuto fotografare il colophon e qualche notizia, fra l’altro quella dell’incidente causa del nostro rientro in Italia e, dopo aver ringraziato tutti e soprattutto il sacerdote, me ne sono andata piangendo e pensando ai miei genitori che avevano percorso quelle strade giovani e pieni di speranze per il loro avvenire personale ed italiano, speranze che dovevano essere deluse nel giro di pochi anni.

 Sempre secondo la guida Lonely Planet, gli Italiani hanno lasciato , oltre alle strade, alle città e ai ponti, altre importanti eredità: il caffè macchiato, la pizza e gli spaghetti. Per noi non esistono quindi problemi di cucina!

 Da amante dell’architettura, voglio chiudere dicendo ancora qualcosa sulla città di Asmara nella quale è possibile ritrovare intatti tutti i più importanti stili architettonici del 900: liberty, cubista, espressionista, funzionale, futurista, razionalista e neoclassico. Negli anni del fascismo l’Eritrea divenne una sorta di laboratorio nel quale era possibile sperimentare idee nuove. (Apro una parentesi per dire che l’attrazione per l’ Impero era tale Le Corbusier si era offerto di disegnare il piano regolatore della conquistata Addis Abeba!)

Qualche anno fa il centro storico di Asmara è stato incluso dal World Monument Fund, (Fondo Mondiale per i Monumenti) istituzione privata americana, fra i monumenti in pericolo . L’Asmara, dice il WMF, ha una delle più alte concentrazioni al mondo di architettura modernista. Il suo centro urbano rappresentò un ardito tentativo di creare una città ideale basata sugli ideali della pianificazione architettonica. I 400 edifici rimasti del periodo della colonizzazione italiana vanno salvati dalle minacce dello sviluppo. La capitale eritrea, frutto di un esperimento architettonico radicale voluto dal fascismo, fu costruita quasi tutta in sei anni quando la popolazione salì da 4000 a 45000. Gli architetti italiani, ebbero le mani libere per sperimentare: il risultato è un mix eclettico, un cocktail di edifici futuristi come il garage Fiat Tagliero costruito per sembrare un aeroplano, di villini che potrebbero trovare posto in una città italiana di villeggiatura, di facciate monumentali e austere in puro stile littorio.

 Infine, ringrazio ancora il REX che con questa conversazione mi ha consentito di riempire il vuoto che si era creato nelle celebrazioni del 150^ anniversario del Regno d’Italia : in questi mesi, infatti non una sola voce si è levata per ricordare i sacrifici sostenuti in terra d’Africa da tanti nostri connazionali, rappresentanti di un’Italia contadina, i quali spinti da motivazioni non proprio imperialistiche hanno preso il mare per conseguire un miglioramento delle proprie condizioni di vita, per avere “un posto al sole” dove poter non più emigrare sotto altre bandiere.

 Ho finito. Vi chiedo scusa per essere stata un po’ sconclusionata, mischiando storia, geografia, architettura e opinioni personali, ma vi assicuro che ho cercato di farvi partecipi delle emozioni che ho provato osservando l’Eritrea con gli occhi della mente e con quelli del cuore.